Evoluzione stil...istica!
Inviato: sabato 3 gennaio 2015, 1:25
Da un po' di tempo mi chiedo cosa cerco e cosa mi interessa in una stilografica, ho letto un paio di topic simili, spesso orientati più sulla tecnica che su quel non so che che fa preferire un modello, una marca a un'altra.
Anche io, come tanti, ho cominciato con una Pelikan scolastica a cartuccia -la usavo perché mio fratello di sei anni più grande di me era obbigato a usarla dal suo insegnante di italiano, per imitazione più che per scelta consapevole-, e già mi accorgevo di quanto la mia grafia migliorasse. Forse il tratto spesso che costringe a scrivere più grande, forse la scorrevolezza e la posizione più naturale, non so, non erano tempi in cui razionalizzassi molto certi argomenti. Poi, lasciata la stilo, ho usato Parker jotter per tutte le superiori, l'università e parte della vita lavorativa.
Nel dicembre scorso, un furto a casa dei miei suoceri, con mio suocero dispiaciutissimo, fra le altre cose, della perdita di una sua penna stilografica -mia moglie parlava di una penna d'oro, io mi sono fissato che fosse un'Aurora in base a sensazioni probabilmente errate e a criteri decisionali privi di senso-. Da allora ho iniziato a pensare che quelle penne che usavo tanti anni prima mi mancavano, e che ne volevo di nuovo una fra le mani. Non so perché, ma sono attratto dai colori vivaci, e adoro scrivere sui taccuini tipo Moleskine, solo che fino a un anno fa non ci scrivevo perché con la sfera era una sofferenza. Sofferenza, è la parola giusta. Mi informo un poco su internet (cioè qui), poi vado in una cartoleria della mia città dove ci sono stilografiche in vetrina e mi trovo a scegliere fra la Pelikan 151 e la Visconti Rembrandt. Scelgo la Visconti perché è rossa, non so ancora di aver sbagliato. Mi accorgo che sui Moleskine la stilo non va bene, e inizio la ricerca di taccuini con carte più adeguate. Dato che a volte disegno\scarabocchio, uso spesso quaderni da acquarello, anche se hanno la carta lievemente ruvida, che comunque mi piace.
Dopo la prima penna mi prende un poco di frenesia, e iniziano gli acquisti, gli esperimenti, il primo pistone, la Montblanc usata mandata in revisione al Pennaio, la voglia di approfondire il tema del vintage.
La prima Pilot 78G mi permette di scrivere anche sulla cartaccia, poi la Capeless mi rende libero dal continuo avvitamento del cappuccio quando devo scrivere poche parole alla volta, poi la Sailor con pennino extrafine, una lama per ogni tipo di carta. Mi rendo sempre più conto di quanta importanza abbia la carta: scrivo piccolo, e il pennino fine va bene sulla cartaccia, ma scopro in piacere di un tratto spesso e di un flusso abbondante sulla carta giusta.
Sono attratto dalla calligrafia anche se non ho tempo e voglia per esercitarmi, quindi cerco un pennino flessibile. Una Ahab arancione, poi una Dilli superflex, mi accontento del railroading e fingo che quelli siano flessibili. Compro qualcosa su ebay, qualcosa di vintage, una Duofold arancio e una Vest Pocket mandarina, la duofold è bella ma arriva senza clip -anche se per il resto funzionante- e capisco che forse prima di lanciarsi su ebay bisogna essere un filo più esperti e più attenti ai particolari. La mandarina non la inchiostro mai. Una Waterman in set con la matita e il pennino extraflessibile, meravigliose sensazioni, ma anche lei la inchiostro una volta sola. Non so, non mi sento di portarle con me tutti i giorni, e trovo poco feeling col sistema di caricamento a sacchetto.
Ah, la scoperta degli inchiostri, dei colori, e in mezzo due Safari -una bianca e una gialla- con pennini broad e stub 1.1 e converter per giocare un po' a poco prezzo. Col pennino 1.1 la mia grafia mi piace quasi. Due Aurora Big, una comprata qui sul forum -grazie Paolo- e una ripescata da un cassetto, splendide, ma verso cui non provo troppa attrazione, troppo, troppo nere. Una Pelikan 101 moderna e una 400NN antica -evviva l'ebay bulgaro-, graffiata e con un problema di perdita che sono riuscito in qualche modo a risolvere.
Non mi rileggo perché ho paura di non trovare un filo logico a quello che scrivo, con la conseguenza che cancellerei tutto.
A novembre compro una Omas arco, un modello che sempre mi aveva affascinato, e spicco il volo. Celluloide bella come nessun altra, sembra un vetro caldo. Poi mi innamoro della Hemingway, la vado a vedere e decido che ne vale la pena. Ora non l'ho ancora in mano, ma nel frattempo vedo penne colorate in celluloide, penne in lava dell'Etna, sistemi di caricamento particolari che esercitano un fascino irresistibile. Mi innamoro della Visconti Wall Street anche se dopo la Rembrandt avevo detto a me stesso mai più Visconti (anche se riconoscevo le innovazioni tecniche apportate pur nel mantenimento della tradizione, la lava basaltica con caricamento a siringa rovesciata ad esempio), e mi accorgo che sceglierei la LE, della regular non mi va giù il prezzo elevato per un caricamento a cartuccia né la sezione in metallo. Allo stesso tempo passerei sopra a questi aspetti per averla verde invece che grigia o rossa e non mi capacito di queste mie contraddizioni.
Arrivo alla fine e non ho ancora risposto, nemmeno a me stesso, alla domanda iniziale: cosa cerco, cosa cerchiamo in una penna?
Anche io, come tanti, ho cominciato con una Pelikan scolastica a cartuccia -la usavo perché mio fratello di sei anni più grande di me era obbigato a usarla dal suo insegnante di italiano, per imitazione più che per scelta consapevole-, e già mi accorgevo di quanto la mia grafia migliorasse. Forse il tratto spesso che costringe a scrivere più grande, forse la scorrevolezza e la posizione più naturale, non so, non erano tempi in cui razionalizzassi molto certi argomenti. Poi, lasciata la stilo, ho usato Parker jotter per tutte le superiori, l'università e parte della vita lavorativa.
Nel dicembre scorso, un furto a casa dei miei suoceri, con mio suocero dispiaciutissimo, fra le altre cose, della perdita di una sua penna stilografica -mia moglie parlava di una penna d'oro, io mi sono fissato che fosse un'Aurora in base a sensazioni probabilmente errate e a criteri decisionali privi di senso-. Da allora ho iniziato a pensare che quelle penne che usavo tanti anni prima mi mancavano, e che ne volevo di nuovo una fra le mani. Non so perché, ma sono attratto dai colori vivaci, e adoro scrivere sui taccuini tipo Moleskine, solo che fino a un anno fa non ci scrivevo perché con la sfera era una sofferenza. Sofferenza, è la parola giusta. Mi informo un poco su internet (cioè qui), poi vado in una cartoleria della mia città dove ci sono stilografiche in vetrina e mi trovo a scegliere fra la Pelikan 151 e la Visconti Rembrandt. Scelgo la Visconti perché è rossa, non so ancora di aver sbagliato. Mi accorgo che sui Moleskine la stilo non va bene, e inizio la ricerca di taccuini con carte più adeguate. Dato che a volte disegno\scarabocchio, uso spesso quaderni da acquarello, anche se hanno la carta lievemente ruvida, che comunque mi piace.
Dopo la prima penna mi prende un poco di frenesia, e iniziano gli acquisti, gli esperimenti, il primo pistone, la Montblanc usata mandata in revisione al Pennaio, la voglia di approfondire il tema del vintage.
La prima Pilot 78G mi permette di scrivere anche sulla cartaccia, poi la Capeless mi rende libero dal continuo avvitamento del cappuccio quando devo scrivere poche parole alla volta, poi la Sailor con pennino extrafine, una lama per ogni tipo di carta. Mi rendo sempre più conto di quanta importanza abbia la carta: scrivo piccolo, e il pennino fine va bene sulla cartaccia, ma scopro in piacere di un tratto spesso e di un flusso abbondante sulla carta giusta.
Sono attratto dalla calligrafia anche se non ho tempo e voglia per esercitarmi, quindi cerco un pennino flessibile. Una Ahab arancione, poi una Dilli superflex, mi accontento del railroading e fingo che quelli siano flessibili. Compro qualcosa su ebay, qualcosa di vintage, una Duofold arancio e una Vest Pocket mandarina, la duofold è bella ma arriva senza clip -anche se per il resto funzionante- e capisco che forse prima di lanciarsi su ebay bisogna essere un filo più esperti e più attenti ai particolari. La mandarina non la inchiostro mai. Una Waterman in set con la matita e il pennino extraflessibile, meravigliose sensazioni, ma anche lei la inchiostro una volta sola. Non so, non mi sento di portarle con me tutti i giorni, e trovo poco feeling col sistema di caricamento a sacchetto.
Ah, la scoperta degli inchiostri, dei colori, e in mezzo due Safari -una bianca e una gialla- con pennini broad e stub 1.1 e converter per giocare un po' a poco prezzo. Col pennino 1.1 la mia grafia mi piace quasi. Due Aurora Big, una comprata qui sul forum -grazie Paolo- e una ripescata da un cassetto, splendide, ma verso cui non provo troppa attrazione, troppo, troppo nere. Una Pelikan 101 moderna e una 400NN antica -evviva l'ebay bulgaro-, graffiata e con un problema di perdita che sono riuscito in qualche modo a risolvere.
Non mi rileggo perché ho paura di non trovare un filo logico a quello che scrivo, con la conseguenza che cancellerei tutto.
A novembre compro una Omas arco, un modello che sempre mi aveva affascinato, e spicco il volo. Celluloide bella come nessun altra, sembra un vetro caldo. Poi mi innamoro della Hemingway, la vado a vedere e decido che ne vale la pena. Ora non l'ho ancora in mano, ma nel frattempo vedo penne colorate in celluloide, penne in lava dell'Etna, sistemi di caricamento particolari che esercitano un fascino irresistibile. Mi innamoro della Visconti Wall Street anche se dopo la Rembrandt avevo detto a me stesso mai più Visconti (anche se riconoscevo le innovazioni tecniche apportate pur nel mantenimento della tradizione, la lava basaltica con caricamento a siringa rovesciata ad esempio), e mi accorgo che sceglierei la LE, della regular non mi va giù il prezzo elevato per un caricamento a cartuccia né la sezione in metallo. Allo stesso tempo passerei sopra a questi aspetti per averla verde invece che grigia o rossa e non mi capacito di queste mie contraddizioni.
Arrivo alla fine e non ho ancora risposto, nemmeno a me stesso, alla domanda iniziale: cosa cerco, cosa cerchiamo in una penna?