Un capolavoro… cinese?! Hongdian N9
Inviato: mercoledì 2 ottobre 2024, 14:47
Dopo aver finalmente consegnato la tesi di laurea, ho un po’ più di tempo libero e ho deciso di dedicarmi nuovamente alle recensioni delle penne che uso. Questa volta ho deciso di interrompere momentaneamente la serie di recensioni sulle mie amate giapponesi per parlare di un acquisto recente che mi ha sorpreso molto piacevolmente. Parlo della mia prima penna di un marchio cinese, la Hongdian N9. Non mi considero un “razzista stilografico”, però fatto sta che non ho mai comprato penne cinesi prima per due motivi principali: il primo è che temevo la fragilità delle plastiche impiegate (ho letto tanto sul forum di penne che si rompono, si crepano, si disintegrano ecc.), il secondo è che sono sempre stato scettico sulle prestazioni di scrittura, ho sempre temuto che con i pennini cinesi bisogna tentare la lotteria oppure dedicarsi a limare le punte (cosa che non sono tanto disposto a fare), ma alla fine mi sono lasciato tentare da un marchio cinese che ultimamente sembra riscuotere molto successo per la fattura delle penne e per le prestazioni di scrittura: Hongdian, un marchio cinese “premium” (i prezzi sono un po’ più alti di altri) che produce modelli interessanti, forse alcuni un po’ discutibili come gusto estetico (comunque meglio di fare solo copie spudorate) ma dalla buona fattura. Queste erano le informazioni che avevo dalla comunità stilografica e dalle informazioni reperite in rete, e mi sono quindi deciso ad acquistare il modello che presento oggi. Ero in particolare attratto dalla tipologia di punta, come spiegherò in seguito. Vediamo dunque nel dettaglio questo gioiellino orientale.
Dal punto di vista estetico la Hongdian N9 è una penna in resina dalla classicissima forma a sigaro con minuterie dorate. La resina è molto bella, di un colore viola scuro/borgogna (scusate se non sono molto preciso, ma le sfumature di colori mi confondono sempre) con sfumature “vellutate”. La resina è perfettamente tornita e lucidata, non noto giunzioni da nessuna parte. Le dimensioni sono quelle che per la mia mano definisco “medie”: 13,5 cm da chiusa e 12 cm da aperta. Da chiusa gli unici elementi decorativi che si vedono solo la clip e la banda sul cappuccio (se Cesare sta leggendo queste righe, no, non so valutare quanto siano “di qualità”, resistenti o durature: solo con il tempo e l’uso potrò scoprirlo). La clip è piuttosto rigida, senza infamia e senza lode dal punto di vista stilistico. La banda del cappuccio merita una descrizione più dettagliata: mi ha colpito la fattura, con una alternanza di parti lucide e parti opache e un disegno a onde in rilievo dal gusto “orientale” nel senso buono del termine. Sul retro in rilievo è posto il nome del modello in un font corsivo, che ben si sposta con il disegno della banda. Una volta svitato il cappuccio si scopre una sezione dello stesso materiale del resto della penna, all’inizio della quale c’è un piccolo anellino dorato. Per questo modello quelli della Hongdian hanno adottato la soluzione stilistica della “via di mezzo” già molto praticata da Sailor, cioè quella di fare un micro-scalino sul fusto in modo che la forma sia più armonica da chiusa ma al tempo stesso non sia troppo visibile a penna aperta (su questo vorrei proprio sentire il parere di Piccardi, così da sapere se questa soluzione urta la fazione anti-scalino).
Il sistema di caricamento è un classico cartuccia/converter: l’imbocco è un po’ diverso dallo standard europeo, quindi non credo che vadano bene le cartucce ad attacco “internazionale” (che arrivati a questo punto mi chiedo quanto sia davvero internazionale, visti i molti attacchi proprietari in giro e lo standard americano/cinese). In ogni caso la penna arriva con il suo converter a stantuffo che mi sembra piuttosto robusto (ha l’imbocco rinforzato da una banda di metallo). Non ho avuto grossi problemi nel caricare la penna, funziona molto bene. Trovo degno di lode l’accorgimento di mettere una filettatura metallica anche nel fusto e non ricavarla direttamente dalla resina: ciò oltre a dare una sensazione di robustezza aggiunge anche quel po’ di peso che rende la penna più “sostanziosa”.
Passiamo adesso al pennino: si tratta di un pennino in acciaio dorato, di misura 6 (non so dire se abbia effettivamente 6 millimetri di diametro, però ho confrontato a vista con un pennino Jowo numero 6 e siamo più o meno lì come dimensioni, la geometria è ovviamente un po’ diversa). L’alimentatore è in plastica e con lamelle di compensazione. Il pennino reca un’incisione con l’immagine di un coniglio/lepre (rimanenze di pennini della versione celebrativa per il Capodanno cinese del 2023? Ho notato che di base questo modello in tutte le colorazioni ha questo pennino, forse hanno deciso di tenerlo o avevano dei grandi stoccaggi di questi pennini già pronti con questa incisione, vai a sapere…), sotto alla quale c’è una scritta con il nome del marchio, e infine il tipo di tratto, in questo caso marchiato come “刃 M” dove 刃 (cinese: rèn, giapponese: ha oppure yaiba) ha il significato di “lama, coltello, spada”, mentre M dovrebbe indicare il tratto base della punta. Cosa vorrà mai significare una punta “lama media”? Lo scopriremo nel prossimo paragrafo.
E passiamo dunque alle prestazioni di scrittura: il pennino a “lama media” non è altro che un simil-naginata, dunque ha due caratteristiche principali: quella di avere un tratto simile ai pennini architect (tratti orizzontali più spessi, tratti verticali più sottili) e di variare lo spessore al variare dell’inclinazione rispetto al foglio (tratti più spessi con il pennino parallelo, tratti più sottili con il pennino perpendicolare). Va notato che non essendo la punta troppo larga la variazione di tratto non è così drammatica, ma comunque c’è. Questo ha lo scopo dichiarato di scrivere i caratteri “meglio”, cioè, “più belli”. Ora, io non sono un esperto di calligrafia né nostrana né asiatica, ma so più o meno come funziona quella giapponese e ho scritto qualche volta con il pennello e l’inchiostro, e so anche che la tradizione calligrafica cinese è diversa da quella giapponese anche se i caratteri sono gli stessi. Quello che posso dire è che i caratteri vengono piuttosto bene, lo trovo un ottimo compromesso per avere un pennino con cui scrivere anche in italiano e perciò per le mie esigenze è meglio del pennino “fude” (quello con la parte finale dei rebbi piegata all’insù). Dal punto di vista della sensazione, è un pennino molto scorrevole, bagnato al punto giusto; devo ancora fare prove con altri inchiostri, ma per le carte che uso di solito non ci metterei inchiostri troppo sbrodoloni (anche se da quando è arrivata c’è un diavoletto sulla spalla che mi sussurra: “mettici l’Iroshizuku Yama-budō, mettilooooooo”). Vi lascio una prova di scrittura con una poesia di Bai Juyi白居易 (772-846), il poeta cinese storicamente più influente in Giappone (l’ironia è che è stato più famoso in Giappone che in Cina).
In conclusione, si tratta di una penna veramente ben fatta, considerando la spesa (circa 38 euro con il pennino “刃 M”, verso i 30 con il pennino standard extrafine) è stato veramente un buon acquisto. Forse il vantaggio principale è quello di poter provare la sensazione di un pennino naginata senza prendere un purosangue Sailor (che costa ben più di dieci volte tanto) o un grinding da un super nibmeister che si fa pagare tanto (sicuramente più del costo di tutta questa penna). I cinesi sono riusciti a sorprendermi con questo primo acquisto, spero che ne seguiranno altri altrettanto azzeccati. Si tratta di modello che mostra che i produttori cinesi sono in grado di fare non solo modelli pieni di anellini e verette (francamente inguardabili per me), ma anche penne più semplici e sobrie, e di produrre belle resine che visivamente non hanno niente da invidiare a quelle prodotte e lavorate in Italia. Adesso il prossimo passo sarà l’altro tipo di naginata, il “long blade” montato ad esempio sulla N6 (dovrebbe essere un po’ più largo come tratto di partenza) e poi forse un giorno mi deciderò a prenderne uno un po’ più “serio”.
Adesso però voglio il commento di Risotto su quale oggetto sarebbe da lui associato alla forma della punta di questo pennino.
Dal punto di vista estetico la Hongdian N9 è una penna in resina dalla classicissima forma a sigaro con minuterie dorate. La resina è molto bella, di un colore viola scuro/borgogna (scusate se non sono molto preciso, ma le sfumature di colori mi confondono sempre) con sfumature “vellutate”. La resina è perfettamente tornita e lucidata, non noto giunzioni da nessuna parte. Le dimensioni sono quelle che per la mia mano definisco “medie”: 13,5 cm da chiusa e 12 cm da aperta. Da chiusa gli unici elementi decorativi che si vedono solo la clip e la banda sul cappuccio (se Cesare sta leggendo queste righe, no, non so valutare quanto siano “di qualità”, resistenti o durature: solo con il tempo e l’uso potrò scoprirlo). La clip è piuttosto rigida, senza infamia e senza lode dal punto di vista stilistico. La banda del cappuccio merita una descrizione più dettagliata: mi ha colpito la fattura, con una alternanza di parti lucide e parti opache e un disegno a onde in rilievo dal gusto “orientale” nel senso buono del termine. Sul retro in rilievo è posto il nome del modello in un font corsivo, che ben si sposta con il disegno della banda. Una volta svitato il cappuccio si scopre una sezione dello stesso materiale del resto della penna, all’inizio della quale c’è un piccolo anellino dorato. Per questo modello quelli della Hongdian hanno adottato la soluzione stilistica della “via di mezzo” già molto praticata da Sailor, cioè quella di fare un micro-scalino sul fusto in modo che la forma sia più armonica da chiusa ma al tempo stesso non sia troppo visibile a penna aperta (su questo vorrei proprio sentire il parere di Piccardi, così da sapere se questa soluzione urta la fazione anti-scalino).
Il sistema di caricamento è un classico cartuccia/converter: l’imbocco è un po’ diverso dallo standard europeo, quindi non credo che vadano bene le cartucce ad attacco “internazionale” (che arrivati a questo punto mi chiedo quanto sia davvero internazionale, visti i molti attacchi proprietari in giro e lo standard americano/cinese). In ogni caso la penna arriva con il suo converter a stantuffo che mi sembra piuttosto robusto (ha l’imbocco rinforzato da una banda di metallo). Non ho avuto grossi problemi nel caricare la penna, funziona molto bene. Trovo degno di lode l’accorgimento di mettere una filettatura metallica anche nel fusto e non ricavarla direttamente dalla resina: ciò oltre a dare una sensazione di robustezza aggiunge anche quel po’ di peso che rende la penna più “sostanziosa”.
Passiamo adesso al pennino: si tratta di un pennino in acciaio dorato, di misura 6 (non so dire se abbia effettivamente 6 millimetri di diametro, però ho confrontato a vista con un pennino Jowo numero 6 e siamo più o meno lì come dimensioni, la geometria è ovviamente un po’ diversa). L’alimentatore è in plastica e con lamelle di compensazione. Il pennino reca un’incisione con l’immagine di un coniglio/lepre (rimanenze di pennini della versione celebrativa per il Capodanno cinese del 2023? Ho notato che di base questo modello in tutte le colorazioni ha questo pennino, forse hanno deciso di tenerlo o avevano dei grandi stoccaggi di questi pennini già pronti con questa incisione, vai a sapere…), sotto alla quale c’è una scritta con il nome del marchio, e infine il tipo di tratto, in questo caso marchiato come “刃 M” dove 刃 (cinese: rèn, giapponese: ha oppure yaiba) ha il significato di “lama, coltello, spada”, mentre M dovrebbe indicare il tratto base della punta. Cosa vorrà mai significare una punta “lama media”? Lo scopriremo nel prossimo paragrafo.
E passiamo dunque alle prestazioni di scrittura: il pennino a “lama media” non è altro che un simil-naginata, dunque ha due caratteristiche principali: quella di avere un tratto simile ai pennini architect (tratti orizzontali più spessi, tratti verticali più sottili) e di variare lo spessore al variare dell’inclinazione rispetto al foglio (tratti più spessi con il pennino parallelo, tratti più sottili con il pennino perpendicolare). Va notato che non essendo la punta troppo larga la variazione di tratto non è così drammatica, ma comunque c’è. Questo ha lo scopo dichiarato di scrivere i caratteri “meglio”, cioè, “più belli”. Ora, io non sono un esperto di calligrafia né nostrana né asiatica, ma so più o meno come funziona quella giapponese e ho scritto qualche volta con il pennello e l’inchiostro, e so anche che la tradizione calligrafica cinese è diversa da quella giapponese anche se i caratteri sono gli stessi. Quello che posso dire è che i caratteri vengono piuttosto bene, lo trovo un ottimo compromesso per avere un pennino con cui scrivere anche in italiano e perciò per le mie esigenze è meglio del pennino “fude” (quello con la parte finale dei rebbi piegata all’insù). Dal punto di vista della sensazione, è un pennino molto scorrevole, bagnato al punto giusto; devo ancora fare prove con altri inchiostri, ma per le carte che uso di solito non ci metterei inchiostri troppo sbrodoloni (anche se da quando è arrivata c’è un diavoletto sulla spalla che mi sussurra: “mettici l’Iroshizuku Yama-budō, mettilooooooo”). Vi lascio una prova di scrittura con una poesia di Bai Juyi白居易 (772-846), il poeta cinese storicamente più influente in Giappone (l’ironia è che è stato più famoso in Giappone che in Cina).
In conclusione, si tratta di una penna veramente ben fatta, considerando la spesa (circa 38 euro con il pennino “刃 M”, verso i 30 con il pennino standard extrafine) è stato veramente un buon acquisto. Forse il vantaggio principale è quello di poter provare la sensazione di un pennino naginata senza prendere un purosangue Sailor (che costa ben più di dieci volte tanto) o un grinding da un super nibmeister che si fa pagare tanto (sicuramente più del costo di tutta questa penna). I cinesi sono riusciti a sorprendermi con questo primo acquisto, spero che ne seguiranno altri altrettanto azzeccati. Si tratta di modello che mostra che i produttori cinesi sono in grado di fare non solo modelli pieni di anellini e verette (francamente inguardabili per me), ma anche penne più semplici e sobrie, e di produrre belle resine che visivamente non hanno niente da invidiare a quelle prodotte e lavorate in Italia. Adesso il prossimo passo sarà l’altro tipo di naginata, il “long blade” montato ad esempio sulla N6 (dovrebbe essere un po’ più largo come tratto di partenza) e poi forse un giorno mi deciderò a prenderne uno un po’ più “serio”.
Adesso però voglio il commento di Risotto su quale oggetto sarebbe da lui associato alla forma della punta di questo pennino.