permesso?
Inviato: venerdì 5 febbraio 2016, 0:20
Buonasera,
come molti nuovi iscritti al forum, vi seguo da un po’ senza aver trovato ancora occasione di iscrivermi e partecipare. Dato che gli impegni del lavoro e della famiglia sono pressanti spero anche che mi scuserete se la mia partecipazione non sarà assidua (ma vi leggo, a volte nelle pause pranzo al lavoro!)
Come probabilmente alcuni di voi, mi sono ri-avvicinato alle stilografiche qualche anno fa, dopo un periodo di quasi astinenza, e forse allo stesso modo anche qualcuno di voi avrà provato la sensazione che ho provato allora io: accidenti! Mi mancava e non lo sapevo!
Ho avuto la fortuna di imparare a scrivere con la stilografica a scuola, anche se allora le mie sensazioni in merito erano contrastanti. Tenere la Pelikan 120 verde-nera nella mia piccola mano e guardare il pennino luccicante d’oro scivolare sulla carta mentre ricopiavo le frasi, che la maestra scriveva con il gesso alla lavagna, nei quadretti del mio quadernetto, mi faceva sentire importante. Peraltro, l’esercizio era difficile, ricordo che sul mio banco (color verdone) leggermente inclinato tenevo il quaderno e sopra un foglione di carta assorbente per evitare di sporcare la pagina ancora bianca.
Addirittura per un periodo, dopo i primi esercizi a matita, ci fecero passare alla penna ad intinzione con calamaio. Il banco (non so se qualcuno di voi meno giovani lo avrà sperimentato, erano quei banchi a due posti, alti, nei quali si saliva all’interno, sopra una specie di pedana e su una panchetta dove si stava seduti) aveva una fascia iniziale orizzontale (prima che il piano diventasse inclinato) dove si trovava un incavo per un calamaio. Ricordo che la penna era una economicissima bacchetta arancione in materiale plastico, con un lato in cui si inseriva il pennino.
I risultati furono disastrosi. Il pennino doveva essere di scarsa qualità, aggiungiamo l’imperizia degli alunni, riuscimmo a sporcare dappertutto per la disperazione della maestra.
Dopo pochissimo, la suora (ma sì, ammetto, andai alle elementari dalle suore, e tedesche per giunta!) ci fece comprare a tutti la stilografica, e a tutti rigorosamente una Pelikan 120 (oggi verrebbe da chiedere: no affiliation? mah...). Comunque meravigliosa, la 120. La usai per alcuni anni, pur riuscendo a distruggere un paio di pennini. Ma scrivere era un’altra cosa.
Il pennino dopo un certo periodo di pratica (e di rodaggio?) iniziò a scorrere morbido sulla carta!
Non solo, lo ricordo distintamente, ma quello che mi sorprendeva rispetto all’uso della matita (e delle biro, vietatissime a scuola) era che la stilografica scriveva a volte nemmeno senza che il pennino toccasse la carta, almeno questa era la mia sensazione.
Purtroppo la 120 deve aver fatto una fine ingloriosa, anche se dopo alcuni anni di onorato servizio, ma ho vaghi ricordi e sensazioni di rimorso riguardo al perché la penna sparì e i miei dovettero comprarmi una Auretta.
Qualche anno fa, preso da nostalgia, ne comprai una usata ma in buone condizioni su ebay.
Accidenti, com’è piccina la 120 rispetto a quel che mi ricordavo!
La sensazione che mi da però è la stessa, leggerezza e scorrevolezza incredibile.
La considero tutt’ora una signora penna, pur entry level (ma a stantuffo!).
Ma torniamo alla storia (ah, già, scusate, non mi ero accorto che vi sto raccontando una storia, spero di non essere noioso).
L’auretta fece una fine peggiore della 120. I materiali non potevano reggere il confronto e nel giro di poco si staccò la clip, credo ne ebbi più d’una. La plastica era poco resistente all’usura e la penna prendeva nell’astuccio insieme alle matite un aspetto “masticato” che non mi piaceva, quando dovetti separarmene fu senza alcun rimpianto.
La penna che la sostituì fu a quel punto un’altra Pelikan. Non sono ancora riuscito ad identificarla con certezza, credo si possa trattare di una P464, aveva il fusto e sezione neri, con finestrella inchiostro azzurra e cappuccio in acciaio cromato leggermente satinato, clip liscia con la scritta Pelikan e il logo Pelikan su sfondo nero annegato in un bottone in cima al cappuccio.
Il pennino era color acciaio ma non riesco minimamente a ricordare se riportasse i punzoni dei carati, quindi forse era d’acciaio.
Non era di sicuro una Silvexa, la clip era diversa.
Me la ricordo bene perché questa durò molto a lungo e mi seguì fino all’università!
Una penna a cartucce, che però scriveva molto bene e anch’essa, forse più della 120, si era col tempo adattata alla mia scrittura. Di fatto, mi intriga abbastanza ritrovarla (anche se non lei la originaria…).
Per ora ho trovato una parente simile, una P478 che però ha fusto e cappuccio in acciaio satinato. Cercando qui invece
https://www.pelikan-collectibles.com/en ... index.html
sono riuscito a individuare la P464, e credo sia lei.
Fu comunque il caricamento a cartucce della mia presunta P464 a introdurmi agli inchiostri.
Sembra un controsenso, ma in realtà fu proprio per non dover di continuo comprare le cartucce che iniziai a riempirle dalla boccetta con la siringa. Da lì ad iniziare a mischiare i colori dell’inchiostro, alla ricerca della tonalità preferita, il passo fu breve.
Il Pelikan Royal blu era ovviamente l’inchiostro d’elezione (se ricordo, obbligatorio a scuola, vietato l’inchiostro nero). Ho molto rispetto per il Pelikan Royal Blue, lo uso tutt’ora, per le sue caratteristiche facili ed affidabili, ed anche se non è più l’inchiostro preferito, ha di sicuro influenzato la mia scelta sul colore blu che deve comunque avere qualcosa del Royal per piacermi.
Giocare a scurirlo (con il nero) a farlo virare un po’ meno verso il viola (con il verde) o decisamente al viola (con il rosso) era già un divertimento all’epoca del liceo.
Gli ultimi anni del liceo feci una scelta forse un po’ strana. Prendevo appunti veloci, solitamente in stampatello per chiarezza di lettura, dato che mi servivano poi per studiare. Iniziai ad usare a questo scopo i rapidograph a punta larga. Il flusso di inchiostro abbondante mi permetteva di scrivere molto velocemente e le punte larghe non grattavano sulla carta, si prestavano ad essere usate quasi come una stilografica, che in questi casi, almeno la mia, stentava a star dietro alla velocità di scrittura.
Oggi so che probabilmente sarebbe bastato cambiare penna e pennino!
Comunque, usando una 0,6 o 0,7 mm l’inchiostro finiva in fretta, la china non andava bene e iniziai a riempire i rapidograph con il Royal Blu!
Usai sia la mia P464, sia diversi rapidograph della rotring fino alla fine della università.
La P464 rimase in qualche cassetto a casa dei miei quando partii per il militare, e da allora non si è vista più…
In quel tempo (dai, comunque non secoli fa, era metà anni 80) a noi neolaureati succedeva una cosa che oggi i miei figlioli, che per arrivare alla laurea si stanno dando da fare, si sognano. Infatti dopo 10 giorni dal ritorno dal militare, lavoravo…
E al lavoro erano già arrivate delle macchine infernali… i PC.
Detta in breve, nel giro di poco tempo smettemmo di scrivere a mano le nostre lettere e di darle alla segretaria da battere a macchina per poi passarle nel fax (oggi impensabile!), e cominciammo stentatamente a battercele da soli sulla tastiera del PC…
Anche quando scrivevo a mano in ufficio avevo comunque quasi del tutto perso l’uso della stilografica. C’erano altri strumenti che mi rendevano comunque accettabile scrivere senza dover far uso della odiata biro. Odiata perché il modo di scrivere con la biro è totalmente diverso, la biro rotola, ti porta dove non vuoi, non hai lo stesso controllo della stilo, la tua grafia diventa un orrendo scarabocchio soprattutto se già di partenza non hai una calligrafia meravigliosa…
Le tratto pen, e poi le roller gel mi resero comunque accettabile scrivere senza la stilo.
Ma il PC mi stava depredando quasi del tutto delle mie capacità di scrittura a mano…
Usai per un periodo una stilografica in ufficio, per quei pochi utilizzi che ne rendevano desiderabile l’uso, come per le firme o scrivere biglietti personali. Era una Omas di cui mi era stato fatto dono da un cliente. Ancora piuttosto ignorante di penne non sapevo che si trattasse di una 556 F né che la penna che lo stesso cliente aveva regalato al mio capo fosse una 557 F (che fosse di grado superiore però l’avevo capito…). La mia 556 F purtroppo sparì tempo dopo dal cassetto della scrivania del mio ufficio durante la notte, a causa di un ladruncolo che fece razzia di effetti personali nei vari uffici… Ovviamente una delle cose che ho fatto di recente è stato ricomprare una 556 F!
Per un periodo usai anche le stilografiche usa e getta (credo fossero della Pilot) che venivano vendute già cariche, quando finiva l’inchiostro si buttava via tutto…
Due anni fa è successa una cosa triste, ma in qualche modo speciale. E’ morto mio padre.
La sua salute era già malandata e che potesse succedere lo sapeva anche lui.
Forse lo sentiva, comunque pochi mesi prima mi regalò una stilografica. Mi disse che la penna era appartenuta a mio nonno (suo padre), e che l’aveva conservata ma se ne rammaricava, mi disse infatti che voleva che la tenessi io, ma che voleva che la usassi.
“Una penna che non scrive è come un orologio che non segna il tempo” mi disse e “per farla vivere bisogna che scriva”.
Questa cosa mi colpì parecchio e mi tornò in mente ancor più forte appena lui morì.
La penna è una Omas 361, con il pennino annegato nella celluloide (nera), di cui al tempo in cui uscì, negli anni cinquanta credo, si pubblicizzava l’uso reversibile (per avere un tratto più morbido o più duro).
Cominciai ad usare la penna, ma data l’importanza affettiva dell’oggetto, tra l’altro un po’ malandato anch’esso, mi resi subito conto che per dar libero sfogo a quel piacere di far scorrere il pennino sulla carta che mi ero dimenticato e che ora mi riassaliva fortissimo dovevo attrezzarmi con qualche muletto da portarmi appresso e da lasciare anche in ufficio senza tema di vederlo sparire. E poi sono seguite penne più “belle” o migliori per prestazioni.
Sta di fatto che la passione si è riaccesa e in due anni ho scandagliato internet, ho letto avidamente forum, recensioni, e navigato siti “pericolosissimi” di mezzo mondo pieni di offerte cosiddette speciali, … e accumulato fin troppe penne per l’uso che ne posso fare.
Cerco però di usarle tutte, a turno, per godere della bellezza e della particolarità di ognuna e per dare ad ognuna quella possibilità di vita che mi ha raccomandato mio padre.
I miei saluti a tutti
Enrico
come molti nuovi iscritti al forum, vi seguo da un po’ senza aver trovato ancora occasione di iscrivermi e partecipare. Dato che gli impegni del lavoro e della famiglia sono pressanti spero anche che mi scuserete se la mia partecipazione non sarà assidua (ma vi leggo, a volte nelle pause pranzo al lavoro!)
Come probabilmente alcuni di voi, mi sono ri-avvicinato alle stilografiche qualche anno fa, dopo un periodo di quasi astinenza, e forse allo stesso modo anche qualcuno di voi avrà provato la sensazione che ho provato allora io: accidenti! Mi mancava e non lo sapevo!
Ho avuto la fortuna di imparare a scrivere con la stilografica a scuola, anche se allora le mie sensazioni in merito erano contrastanti. Tenere la Pelikan 120 verde-nera nella mia piccola mano e guardare il pennino luccicante d’oro scivolare sulla carta mentre ricopiavo le frasi, che la maestra scriveva con il gesso alla lavagna, nei quadretti del mio quadernetto, mi faceva sentire importante. Peraltro, l’esercizio era difficile, ricordo che sul mio banco (color verdone) leggermente inclinato tenevo il quaderno e sopra un foglione di carta assorbente per evitare di sporcare la pagina ancora bianca.
Addirittura per un periodo, dopo i primi esercizi a matita, ci fecero passare alla penna ad intinzione con calamaio. Il banco (non so se qualcuno di voi meno giovani lo avrà sperimentato, erano quei banchi a due posti, alti, nei quali si saliva all’interno, sopra una specie di pedana e su una panchetta dove si stava seduti) aveva una fascia iniziale orizzontale (prima che il piano diventasse inclinato) dove si trovava un incavo per un calamaio. Ricordo che la penna era una economicissima bacchetta arancione in materiale plastico, con un lato in cui si inseriva il pennino.
I risultati furono disastrosi. Il pennino doveva essere di scarsa qualità, aggiungiamo l’imperizia degli alunni, riuscimmo a sporcare dappertutto per la disperazione della maestra.
Dopo pochissimo, la suora (ma sì, ammetto, andai alle elementari dalle suore, e tedesche per giunta!) ci fece comprare a tutti la stilografica, e a tutti rigorosamente una Pelikan 120 (oggi verrebbe da chiedere: no affiliation? mah...). Comunque meravigliosa, la 120. La usai per alcuni anni, pur riuscendo a distruggere un paio di pennini. Ma scrivere era un’altra cosa.
Il pennino dopo un certo periodo di pratica (e di rodaggio?) iniziò a scorrere morbido sulla carta!
Non solo, lo ricordo distintamente, ma quello che mi sorprendeva rispetto all’uso della matita (e delle biro, vietatissime a scuola) era che la stilografica scriveva a volte nemmeno senza che il pennino toccasse la carta, almeno questa era la mia sensazione.
Purtroppo la 120 deve aver fatto una fine ingloriosa, anche se dopo alcuni anni di onorato servizio, ma ho vaghi ricordi e sensazioni di rimorso riguardo al perché la penna sparì e i miei dovettero comprarmi una Auretta.
Qualche anno fa, preso da nostalgia, ne comprai una usata ma in buone condizioni su ebay.
Accidenti, com’è piccina la 120 rispetto a quel che mi ricordavo!
La sensazione che mi da però è la stessa, leggerezza e scorrevolezza incredibile.
La considero tutt’ora una signora penna, pur entry level (ma a stantuffo!).
Ma torniamo alla storia (ah, già, scusate, non mi ero accorto che vi sto raccontando una storia, spero di non essere noioso).
L’auretta fece una fine peggiore della 120. I materiali non potevano reggere il confronto e nel giro di poco si staccò la clip, credo ne ebbi più d’una. La plastica era poco resistente all’usura e la penna prendeva nell’astuccio insieme alle matite un aspetto “masticato” che non mi piaceva, quando dovetti separarmene fu senza alcun rimpianto.
La penna che la sostituì fu a quel punto un’altra Pelikan. Non sono ancora riuscito ad identificarla con certezza, credo si possa trattare di una P464, aveva il fusto e sezione neri, con finestrella inchiostro azzurra e cappuccio in acciaio cromato leggermente satinato, clip liscia con la scritta Pelikan e il logo Pelikan su sfondo nero annegato in un bottone in cima al cappuccio.
Il pennino era color acciaio ma non riesco minimamente a ricordare se riportasse i punzoni dei carati, quindi forse era d’acciaio.
Non era di sicuro una Silvexa, la clip era diversa.
Me la ricordo bene perché questa durò molto a lungo e mi seguì fino all’università!
Una penna a cartucce, che però scriveva molto bene e anch’essa, forse più della 120, si era col tempo adattata alla mia scrittura. Di fatto, mi intriga abbastanza ritrovarla (anche se non lei la originaria…).
Per ora ho trovato una parente simile, una P478 che però ha fusto e cappuccio in acciaio satinato. Cercando qui invece
https://www.pelikan-collectibles.com/en ... index.html
sono riuscito a individuare la P464, e credo sia lei.
Fu comunque il caricamento a cartucce della mia presunta P464 a introdurmi agli inchiostri.
Sembra un controsenso, ma in realtà fu proprio per non dover di continuo comprare le cartucce che iniziai a riempirle dalla boccetta con la siringa. Da lì ad iniziare a mischiare i colori dell’inchiostro, alla ricerca della tonalità preferita, il passo fu breve.
Il Pelikan Royal blu era ovviamente l’inchiostro d’elezione (se ricordo, obbligatorio a scuola, vietato l’inchiostro nero). Ho molto rispetto per il Pelikan Royal Blue, lo uso tutt’ora, per le sue caratteristiche facili ed affidabili, ed anche se non è più l’inchiostro preferito, ha di sicuro influenzato la mia scelta sul colore blu che deve comunque avere qualcosa del Royal per piacermi.
Giocare a scurirlo (con il nero) a farlo virare un po’ meno verso il viola (con il verde) o decisamente al viola (con il rosso) era già un divertimento all’epoca del liceo.
Gli ultimi anni del liceo feci una scelta forse un po’ strana. Prendevo appunti veloci, solitamente in stampatello per chiarezza di lettura, dato che mi servivano poi per studiare. Iniziai ad usare a questo scopo i rapidograph a punta larga. Il flusso di inchiostro abbondante mi permetteva di scrivere molto velocemente e le punte larghe non grattavano sulla carta, si prestavano ad essere usate quasi come una stilografica, che in questi casi, almeno la mia, stentava a star dietro alla velocità di scrittura.
Oggi so che probabilmente sarebbe bastato cambiare penna e pennino!
Comunque, usando una 0,6 o 0,7 mm l’inchiostro finiva in fretta, la china non andava bene e iniziai a riempire i rapidograph con il Royal Blu!
Usai sia la mia P464, sia diversi rapidograph della rotring fino alla fine della università.
La P464 rimase in qualche cassetto a casa dei miei quando partii per il militare, e da allora non si è vista più…
In quel tempo (dai, comunque non secoli fa, era metà anni 80) a noi neolaureati succedeva una cosa che oggi i miei figlioli, che per arrivare alla laurea si stanno dando da fare, si sognano. Infatti dopo 10 giorni dal ritorno dal militare, lavoravo…
E al lavoro erano già arrivate delle macchine infernali… i PC.
Detta in breve, nel giro di poco tempo smettemmo di scrivere a mano le nostre lettere e di darle alla segretaria da battere a macchina per poi passarle nel fax (oggi impensabile!), e cominciammo stentatamente a battercele da soli sulla tastiera del PC…
Anche quando scrivevo a mano in ufficio avevo comunque quasi del tutto perso l’uso della stilografica. C’erano altri strumenti che mi rendevano comunque accettabile scrivere senza dover far uso della odiata biro. Odiata perché il modo di scrivere con la biro è totalmente diverso, la biro rotola, ti porta dove non vuoi, non hai lo stesso controllo della stilo, la tua grafia diventa un orrendo scarabocchio soprattutto se già di partenza non hai una calligrafia meravigliosa…
Le tratto pen, e poi le roller gel mi resero comunque accettabile scrivere senza la stilo.
Ma il PC mi stava depredando quasi del tutto delle mie capacità di scrittura a mano…
Usai per un periodo una stilografica in ufficio, per quei pochi utilizzi che ne rendevano desiderabile l’uso, come per le firme o scrivere biglietti personali. Era una Omas di cui mi era stato fatto dono da un cliente. Ancora piuttosto ignorante di penne non sapevo che si trattasse di una 556 F né che la penna che lo stesso cliente aveva regalato al mio capo fosse una 557 F (che fosse di grado superiore però l’avevo capito…). La mia 556 F purtroppo sparì tempo dopo dal cassetto della scrivania del mio ufficio durante la notte, a causa di un ladruncolo che fece razzia di effetti personali nei vari uffici… Ovviamente una delle cose che ho fatto di recente è stato ricomprare una 556 F!
Per un periodo usai anche le stilografiche usa e getta (credo fossero della Pilot) che venivano vendute già cariche, quando finiva l’inchiostro si buttava via tutto…
Due anni fa è successa una cosa triste, ma in qualche modo speciale. E’ morto mio padre.
La sua salute era già malandata e che potesse succedere lo sapeva anche lui.
Forse lo sentiva, comunque pochi mesi prima mi regalò una stilografica. Mi disse che la penna era appartenuta a mio nonno (suo padre), e che l’aveva conservata ma se ne rammaricava, mi disse infatti che voleva che la tenessi io, ma che voleva che la usassi.
“Una penna che non scrive è come un orologio che non segna il tempo” mi disse e “per farla vivere bisogna che scriva”.
Questa cosa mi colpì parecchio e mi tornò in mente ancor più forte appena lui morì.
La penna è una Omas 361, con il pennino annegato nella celluloide (nera), di cui al tempo in cui uscì, negli anni cinquanta credo, si pubblicizzava l’uso reversibile (per avere un tratto più morbido o più duro).
Cominciai ad usare la penna, ma data l’importanza affettiva dell’oggetto, tra l’altro un po’ malandato anch’esso, mi resi subito conto che per dar libero sfogo a quel piacere di far scorrere il pennino sulla carta che mi ero dimenticato e che ora mi riassaliva fortissimo dovevo attrezzarmi con qualche muletto da portarmi appresso e da lasciare anche in ufficio senza tema di vederlo sparire. E poi sono seguite penne più “belle” o migliori per prestazioni.
Sta di fatto che la passione si è riaccesa e in due anni ho scandagliato internet, ho letto avidamente forum, recensioni, e navigato siti “pericolosissimi” di mezzo mondo pieni di offerte cosiddette speciali, … e accumulato fin troppe penne per l’uso che ne posso fare.
Cerco però di usarle tutte, a turno, per godere della bellezza e della particolarità di ognuna e per dare ad ognuna quella possibilità di vita che mi ha raccomandato mio padre.
I miei saluti a tutti
Enrico