"C'è sempre posta per te"
Inviato: lunedì 15 settembre 2014, 23:25
Propongo una breve riflessione pubblicata oggi sul Corriere del Ticino:
C’è sempre posta per te
Altro che due volte. Il postino suona ormai cento volte al giorno. Trent’anni fa la posta arrivava due volte al dì. Trovavi i giornali e le lettere che il tuo destino personale ti riservava (amori, amici, fatture, inviti e le immancabili cartoline che dicevano a colori i gusti e le asticelle sociali della cerchia di parenti e conoscenti, Cesenatico, Parigi, Abano, New York). Fra un giro di posta e l’altro eri libero da ogni altra infornata. Lasciavi decantare la carta, meditavi con calma le risposte che avresti scritto entro qualche giorno, per il resto badavi a vivere il tuo presente senza avvistare nessun’altra corrispondenza. Oggi è tutto cambiato, lo sapete. Lasciamo pur stare il trillo dei telefoni e telefonini, che ormai ci raggiungono ovunque, invasivi. Stiamo agli scritti: l’artiglieria delle mail canta tutto il giorno, supportata dalla fanteria degli SMS telefonici. Certo, puoi evitare di scorrere sempre con lo sguardo schermi e schermini, puoi persino decidere di mimare l’abitudine antica del postino e di aprire le mail due sole volte al giorno. Ma la tentazione fa l’uomo guardone: se sai che la buca delle lettere (elettronica) è piena, difficilissimo è non tuffarti: vediamo chi mi scrive, vediamo se Tizio mi ha risposto, vediamo se il mondo continua a mandarmi i suoi segnali rassicuranti, mi scrivono ergo sum. E poi c’è sempre qualche figlio in viaggio, qualche esca affettiva, qualche presunzione di indispensabilità, qualche tentazione efficientista. E così forse non sempre a tutte le ore ma molte volte al giorno una sbirciatina la dai. E dopo succede che vorresti anche non rispondere subito ma l’istinto ti prude, da una parte vuoi risolvere subito ogni domanda o vertenza o problema e dall’altra ti vien voglia di esser reattivo, di dare una risposta spiritosa o irritata o muscolosa o tenera, come una monaca di Monza elettronica: e lo sventurato rispose. Le mail hanno risolto molte lentezze, razionalizzato, velocizzato processi informativi e decisionali, abolito tonnellate di carta. Qualche volta però se lasciassimo raffreddare qualche mail come dovevamo lasciar raffreddare le lettere e mettessimo fra l’emozione della lettura e l’impeto della risposta una pausa di sanitaria cautela, eviteremmo di innescare spirali polemiche o derive superficiali, raffiche di botta e risposta nel giro di un’ora che poi ci tocca ricucire lentamente per giorni, magari con una bella lettera scritta a mano (altrimenti come mai continuano a vendere Mont Blanc e carta da lettera?). Ci si può calmare, ecco. Ma la sensazione poi è quella di essere tagliati fuori dal palpito sociale dell’essere, declinato in forma di comunicazione (con la gonfiatura esibizionistica della corrispondenza privata in pubblico, via social network). Calcoli però ognuno, nell’esame di coscienza serale prima di dormire, quante ore al giorno ha speso per leggere corrispondenza e rispondervi, sotto tutte le forme. E decida onestamente quale sia la fetta del materiale importante, utile e indispensabile e quale quella delle cose fastidiosamente inutili o comunque rinviabili ad altri ritmi. Se poi uno vuol provare a respirare qualche giorno, lasciando spento tutto (una breve vacanza, una fuga) può capitargli quel che è capitato ad Adriano Sofri, che lo racconta nella sua rubrichetta su «Il Foglio» (che si intitola, ironia del caso, «Piccola posta»): «Ho trascorso alcuni giorni non connesso. In capo ai quali ho trovato una serie di messaggi irritati, e alcuni francamente furiosi. Non rispondi, dove sei, non ti fai trovare, fai finta di niente. Uno sconosciuto, che dice di essere già alla seconda mail, scrive: – Chi ti credi di essere? – Beh, nessuno. Uno sconnesso. Uno scomunicato. Ora mi ricomunico». Ecco, una volta gli scomunicati erano quelli fuori dalla comunione. Oggi sono quelli fuori dalla comunicazione.
Michele Fazioli
C’è sempre posta per te
Altro che due volte. Il postino suona ormai cento volte al giorno. Trent’anni fa la posta arrivava due volte al dì. Trovavi i giornali e le lettere che il tuo destino personale ti riservava (amori, amici, fatture, inviti e le immancabili cartoline che dicevano a colori i gusti e le asticelle sociali della cerchia di parenti e conoscenti, Cesenatico, Parigi, Abano, New York). Fra un giro di posta e l’altro eri libero da ogni altra infornata. Lasciavi decantare la carta, meditavi con calma le risposte che avresti scritto entro qualche giorno, per il resto badavi a vivere il tuo presente senza avvistare nessun’altra corrispondenza. Oggi è tutto cambiato, lo sapete. Lasciamo pur stare il trillo dei telefoni e telefonini, che ormai ci raggiungono ovunque, invasivi. Stiamo agli scritti: l’artiglieria delle mail canta tutto il giorno, supportata dalla fanteria degli SMS telefonici. Certo, puoi evitare di scorrere sempre con lo sguardo schermi e schermini, puoi persino decidere di mimare l’abitudine antica del postino e di aprire le mail due sole volte al giorno. Ma la tentazione fa l’uomo guardone: se sai che la buca delle lettere (elettronica) è piena, difficilissimo è non tuffarti: vediamo chi mi scrive, vediamo se Tizio mi ha risposto, vediamo se il mondo continua a mandarmi i suoi segnali rassicuranti, mi scrivono ergo sum. E poi c’è sempre qualche figlio in viaggio, qualche esca affettiva, qualche presunzione di indispensabilità, qualche tentazione efficientista. E così forse non sempre a tutte le ore ma molte volte al giorno una sbirciatina la dai. E dopo succede che vorresti anche non rispondere subito ma l’istinto ti prude, da una parte vuoi risolvere subito ogni domanda o vertenza o problema e dall’altra ti vien voglia di esser reattivo, di dare una risposta spiritosa o irritata o muscolosa o tenera, come una monaca di Monza elettronica: e lo sventurato rispose. Le mail hanno risolto molte lentezze, razionalizzato, velocizzato processi informativi e decisionali, abolito tonnellate di carta. Qualche volta però se lasciassimo raffreddare qualche mail come dovevamo lasciar raffreddare le lettere e mettessimo fra l’emozione della lettura e l’impeto della risposta una pausa di sanitaria cautela, eviteremmo di innescare spirali polemiche o derive superficiali, raffiche di botta e risposta nel giro di un’ora che poi ci tocca ricucire lentamente per giorni, magari con una bella lettera scritta a mano (altrimenti come mai continuano a vendere Mont Blanc e carta da lettera?). Ci si può calmare, ecco. Ma la sensazione poi è quella di essere tagliati fuori dal palpito sociale dell’essere, declinato in forma di comunicazione (con la gonfiatura esibizionistica della corrispondenza privata in pubblico, via social network). Calcoli però ognuno, nell’esame di coscienza serale prima di dormire, quante ore al giorno ha speso per leggere corrispondenza e rispondervi, sotto tutte le forme. E decida onestamente quale sia la fetta del materiale importante, utile e indispensabile e quale quella delle cose fastidiosamente inutili o comunque rinviabili ad altri ritmi. Se poi uno vuol provare a respirare qualche giorno, lasciando spento tutto (una breve vacanza, una fuga) può capitargli quel che è capitato ad Adriano Sofri, che lo racconta nella sua rubrichetta su «Il Foglio» (che si intitola, ironia del caso, «Piccola posta»): «Ho trascorso alcuni giorni non connesso. In capo ai quali ho trovato una serie di messaggi irritati, e alcuni francamente furiosi. Non rispondi, dove sei, non ti fai trovare, fai finta di niente. Uno sconosciuto, che dice di essere già alla seconda mail, scrive: – Chi ti credi di essere? – Beh, nessuno. Uno sconnesso. Uno scomunicato. Ora mi ricomunico». Ecco, una volta gli scomunicati erano quelli fuori dalla comunione. Oggi sono quelli fuori dalla comunicazione.
Michele Fazioli