Umanistica
Inviato: giovedì 26 settembre 2013, 19:14
Vorrei raccontare una storia che riguarda il mio ultimo amore calligrafico.
Siamo nella seconda metà del 1300 a Firenze (e non a Frittole): un gruppo di letterati, tra cui spicca il Petrarca, pensa, in contrapposizione alle teorie medievali che postulano Dio come perno dell’universo e la chiesa come sommo potere cui tutti debbono sottostare, che sia l’uomo da porre al centro delle cose e rivendica le sue capacità intellettive e di autodeterminazione.
Nasce così il movimento che va sotto il nome di “Umanesimo”.
I suddetti letterati si rivolsero quindi allo studio dei classici latini e greci, dove potevano trovare conforto alle loro teorie; ma i testi di facile reperibilità al tempo erano copie medievali in cui spesso il testo, causa errori di interpretazione e di scrittura, si discostava non poco dagli originali. Si incominciò allora un’opera di faticosa e paziente ricerca di testi più antichi nelle più recondite delle biblioteche: vennero alla luce opere scritte in una grafia diversa da quella imperante al tempo che era la cosiddetta “littera moderna” che questi stessi studiosi non esitarono a ribattezzare, in segno di disprezzo, “littera gotica” ossia barbara; questa vecchia grafia riscoperta altro non era che la minuscola carolina (o carolingia) ma per i nostri ricercatori, che non avevano modelli più antichi a disposizione (lettere romane epigrafiche escluse, naturalmente), rappresentava il massimo della classicità e fu presa come modello per la creazione di una nuova forma di scrittura che fu chiamata “littera antiqua” ma, ai giorni nostri, è conosciuta come “umanistica minuscola”. Nel corso del tempo si affinò la forma grafica che nei primi decenni del 1400, con l’opera di grandi talenti come Poggio Bracciolini e Niccolò Niccoli, conobbe il suo massimo splendore.
Il primo centro di diffusione della littera antiqua fuori dell’area fiorentina fu Venezia e, in seguito, tutta l’area veneto-padana dove si svilupparono varie interpretazioni della grafia umanistica con l’innesto, sul “corpo” fiorentino, delle esperienze culturali, delle conoscenze e dei gusti degli scriba della regione; una menzione particolare, per fantasia, inventiva ed estro creativo, merita Ciriaco d’Ancona, la cui scrittura della maturità (1450 circa) è quasi una sorta di mosaico in cui si fondono reminiscenze tardo medievali latine e greche, forme epigrafiche romane classiche e scritture caroline e pre-caroline.
IN PRATICA
La scrittura umanistica è una grafia posata diritta con grado calligrafico 5: le ascendenti e le discendenti misurano, a seconda dei modelli, dai 3 ai 5 gradi calligrafici e impongono, quindi, una consona interlinea.
Si esegue tenendo il pennino angolato di 30° rispetto alla linea di scrittura.
Qui di seguito, nella interpretazione di Patricia Lovett nel libro “Calligraphy, Illuminating and Heraldry”, il ductus dei caratteri minuscoli:
Come si può notare l’autrice non riporta la forma arcaica della “s” lunga usata in antichità (come si può notare nell’esempio precedente) forse perché ritiene (con ragione, secondo me) che il suo uso crei, al giorno d’oggi, problemi di leggibilità ai non addetti ai lavori. Vengono invece riportate due forme della “h” (quella con l’arco che finisce con la grazia verso destra più tarda) e due forme della “g”. Inoltre il grado calligrafico scelto per ascendenti e discendenti pari a 5 richiede un interlinea molto ampio che dona, a mio avviso, un’eleganza particolare allo scritto.
Per le maiuscole venivano usati caratteri di ispirazione romano-epigrafica dei quali la Lovett propone una interessante versione rinascimentale:
I caratteri vanno eseguiti con grado calligrafico 9 e pennino angolato a 20°: da tenere presente però che in diversi casi (p.e. i tratti verticali della N, il tratto verticale sinistro della M, il tratto diagonale della Z) l’angolazione va aumentata o diminuita per ottenere l’effetto voluto.
Siamo nella seconda metà del 1300 a Firenze (e non a Frittole): un gruppo di letterati, tra cui spicca il Petrarca, pensa, in contrapposizione alle teorie medievali che postulano Dio come perno dell’universo e la chiesa come sommo potere cui tutti debbono sottostare, che sia l’uomo da porre al centro delle cose e rivendica le sue capacità intellettive e di autodeterminazione.
Nasce così il movimento che va sotto il nome di “Umanesimo”.
I suddetti letterati si rivolsero quindi allo studio dei classici latini e greci, dove potevano trovare conforto alle loro teorie; ma i testi di facile reperibilità al tempo erano copie medievali in cui spesso il testo, causa errori di interpretazione e di scrittura, si discostava non poco dagli originali. Si incominciò allora un’opera di faticosa e paziente ricerca di testi più antichi nelle più recondite delle biblioteche: vennero alla luce opere scritte in una grafia diversa da quella imperante al tempo che era la cosiddetta “littera moderna” che questi stessi studiosi non esitarono a ribattezzare, in segno di disprezzo, “littera gotica” ossia barbara; questa vecchia grafia riscoperta altro non era che la minuscola carolina (o carolingia) ma per i nostri ricercatori, che non avevano modelli più antichi a disposizione (lettere romane epigrafiche escluse, naturalmente), rappresentava il massimo della classicità e fu presa come modello per la creazione di una nuova forma di scrittura che fu chiamata “littera antiqua” ma, ai giorni nostri, è conosciuta come “umanistica minuscola”. Nel corso del tempo si affinò la forma grafica che nei primi decenni del 1400, con l’opera di grandi talenti come Poggio Bracciolini e Niccolò Niccoli, conobbe il suo massimo splendore.
Il primo centro di diffusione della littera antiqua fuori dell’area fiorentina fu Venezia e, in seguito, tutta l’area veneto-padana dove si svilupparono varie interpretazioni della grafia umanistica con l’innesto, sul “corpo” fiorentino, delle esperienze culturali, delle conoscenze e dei gusti degli scriba della regione; una menzione particolare, per fantasia, inventiva ed estro creativo, merita Ciriaco d’Ancona, la cui scrittura della maturità (1450 circa) è quasi una sorta di mosaico in cui si fondono reminiscenze tardo medievali latine e greche, forme epigrafiche romane classiche e scritture caroline e pre-caroline.
IN PRATICA
La scrittura umanistica è una grafia posata diritta con grado calligrafico 5: le ascendenti e le discendenti misurano, a seconda dei modelli, dai 3 ai 5 gradi calligrafici e impongono, quindi, una consona interlinea.
Si esegue tenendo il pennino angolato di 30° rispetto alla linea di scrittura.
Qui di seguito, nella interpretazione di Patricia Lovett nel libro “Calligraphy, Illuminating and Heraldry”, il ductus dei caratteri minuscoli:
Come si può notare l’autrice non riporta la forma arcaica della “s” lunga usata in antichità (come si può notare nell’esempio precedente) forse perché ritiene (con ragione, secondo me) che il suo uso crei, al giorno d’oggi, problemi di leggibilità ai non addetti ai lavori. Vengono invece riportate due forme della “h” (quella con l’arco che finisce con la grazia verso destra più tarda) e due forme della “g”. Inoltre il grado calligrafico scelto per ascendenti e discendenti pari a 5 richiede un interlinea molto ampio che dona, a mio avviso, un’eleganza particolare allo scritto.
Per le maiuscole venivano usati caratteri di ispirazione romano-epigrafica dei quali la Lovett propone una interessante versione rinascimentale:
I caratteri vanno eseguiti con grado calligrafico 9 e pennino angolato a 20°: da tenere presente però che in diversi casi (p.e. i tratti verticali della N, il tratto verticale sinistro della M, il tratto diagonale della Z) l’angolazione va aumentata o diminuita per ottenere l’effetto voluto.