Parliamo di ... court-hand
Inviato: mercoledì 17 luglio 2013, 20:06
Tranquilli, non parlo di me, ma della forma calligrafica da cui ho tratto il mio nickname: chiedo comunque scusa se l’argomento vi parrà noioso: il rimedio è peraltro semplice, se tale fosse il caso non avreste che da saltare a pie’ pari la discussione!
Nel 1066 d.c. Guglielmo il Conquistatore diventa il primo sovrano normanno di Inghilterra: tra le varie cose che i normanni introdussero nei territori conquistati non mancò la forma di scrittura che inizialmente venne chiamata Lombardica e subito dopo Normanna: in realtà si trattava della Minuscola Carolina, in voga al tempo nei territori del vecchio Sacro Romano Impero e, in breve tempo, prese il sopravvento, almeno nei manoscritti e negli atti ufficiali, su altre forme di grafia autoctone.
Dal dodicesimo secolo in poi cominciò a differenziarsi la grafia usata dai cancellieri reali negli atti ufficiali del Re rispetto a quella usata dagli scriba nei comuni manoscritti: le differenze si accentuarono nel tempo, influenzate anche dai vari modelli calligrafici di moda nel passare dei secoli, dando luogo a due forme grafiche: la Chancery Letters (da non confondere con la cancelleresca italica) e la Court-hand.
La Court-hand deve il suo nome di essere la scrittura in cui venivano redatti i documenti della Court of Common Please (civile, riservata a tutti i procedimenti che non coinvolgevano gli interessi della corona) e della Court of King’s Bench (civile, per tutti i procedimenti in cui entravano gli interessi del re, e, in certa misura, anche penale); in seguito divenne popolare anche tra gli avvocati.
Col passare del tempo la grafia divenne sempre più complessa e stilizzata, con un uso di abbreviazioni, contrazioni e simboli così ampio e fantasioso che, al confronto, le pur temibili “note Tironiane” diventano una pinzillacchera; questo rese il tutto virtualmente illeggibile per chi non fosse addentro alle convenzioni di questa scrittura al punto che, nel 1731, fu promanato il “Proceedings in Court of Justice Act” con il quale fu stabilito non solo che qualsiasi atto dovesse essere scritto obbligatoriamente in Inglese (prima si usava il latino) ma doveva essere redatto con una grafia leggibile a chiunque, con il divieto di ricorrere a qualsiasi calligrafia comunemente chiamata Court-hand e ad ogni forma di abbreviazione delle parole.
Qui di seguito due tavole con alfabeti in uso nel 17° e 18° secolo:
A tutto c’è un perché: riguardo però ai motivi della formazione di una forma di scrittura così aliena da ogni altra grafia occidentale tutti i libri che ho potuto consultare (“Court-hand Restored” di Andrew Wright, “English court-hand” di C. Johnson e H. Jenkinson, “Palaeography and the practical study of court-hand” sempre di Jenkinson) o tacciono o danno spiegazioni per me non convincenti; che senso ha inventare una forma che presenta difficoltà anche in fase di scrittura, oltre che ad essere illeggibile?
Ma forse un senso ce l’ha, come aveva un senso il linguaggio criptico dei pitagorici e dei rosacroce, oppure (paragone forse meglio calzante) il “latinorum” dell’Azzeccagarbugli di Manzoniana memoria: quando si detiene (o si crede di detenere) un potere, meno la gente comune ne capisce e più facile ne diventa la gestione. Indubbiamente agli avvocati, cancellieri e giudici del tempo deve aver fatto molto comodo l’assoluto bisogno della loro competenza per l’interpretazione degli atti, non fosse altro che per procurarsi lavoro, tanto è vero che il sopra citato testo “Court-hand restored” è stato scritto nel 1800 come manuale per gli aspiranti avvocati per permettere loro di consultare atti antichi, cosa indispensabile in molti casi di dispute in merito a questioni di proprietà ed ereditarie.
O forse no?
Nel 1066 d.c. Guglielmo il Conquistatore diventa il primo sovrano normanno di Inghilterra: tra le varie cose che i normanni introdussero nei territori conquistati non mancò la forma di scrittura che inizialmente venne chiamata Lombardica e subito dopo Normanna: in realtà si trattava della Minuscola Carolina, in voga al tempo nei territori del vecchio Sacro Romano Impero e, in breve tempo, prese il sopravvento, almeno nei manoscritti e negli atti ufficiali, su altre forme di grafia autoctone.
Dal dodicesimo secolo in poi cominciò a differenziarsi la grafia usata dai cancellieri reali negli atti ufficiali del Re rispetto a quella usata dagli scriba nei comuni manoscritti: le differenze si accentuarono nel tempo, influenzate anche dai vari modelli calligrafici di moda nel passare dei secoli, dando luogo a due forme grafiche: la Chancery Letters (da non confondere con la cancelleresca italica) e la Court-hand.
La Court-hand deve il suo nome di essere la scrittura in cui venivano redatti i documenti della Court of Common Please (civile, riservata a tutti i procedimenti che non coinvolgevano gli interessi della corona) e della Court of King’s Bench (civile, per tutti i procedimenti in cui entravano gli interessi del re, e, in certa misura, anche penale); in seguito divenne popolare anche tra gli avvocati.
Col passare del tempo la grafia divenne sempre più complessa e stilizzata, con un uso di abbreviazioni, contrazioni e simboli così ampio e fantasioso che, al confronto, le pur temibili “note Tironiane” diventano una pinzillacchera; questo rese il tutto virtualmente illeggibile per chi non fosse addentro alle convenzioni di questa scrittura al punto che, nel 1731, fu promanato il “Proceedings in Court of Justice Act” con il quale fu stabilito non solo che qualsiasi atto dovesse essere scritto obbligatoriamente in Inglese (prima si usava il latino) ma doveva essere redatto con una grafia leggibile a chiunque, con il divieto di ricorrere a qualsiasi calligrafia comunemente chiamata Court-hand e ad ogni forma di abbreviazione delle parole.
Qui di seguito due tavole con alfabeti in uso nel 17° e 18° secolo:
A tutto c’è un perché: riguardo però ai motivi della formazione di una forma di scrittura così aliena da ogni altra grafia occidentale tutti i libri che ho potuto consultare (“Court-hand Restored” di Andrew Wright, “English court-hand” di C. Johnson e H. Jenkinson, “Palaeography and the practical study of court-hand” sempre di Jenkinson) o tacciono o danno spiegazioni per me non convincenti; che senso ha inventare una forma che presenta difficoltà anche in fase di scrittura, oltre che ad essere illeggibile?
Ma forse un senso ce l’ha, come aveva un senso il linguaggio criptico dei pitagorici e dei rosacroce, oppure (paragone forse meglio calzante) il “latinorum” dell’Azzeccagarbugli di Manzoniana memoria: quando si detiene (o si crede di detenere) un potere, meno la gente comune ne capisce e più facile ne diventa la gestione. Indubbiamente agli avvocati, cancellieri e giudici del tempo deve aver fatto molto comodo l’assoluto bisogno della loro competenza per l’interpretazione degli atti, non fosse altro che per procurarsi lavoro, tanto è vero che il sopra citato testo “Court-hand restored” è stato scritto nel 1800 come manuale per gli aspiranti avvocati per permettere loro di consultare atti antichi, cosa indispensabile in molti casi di dispute in merito a questioni di proprietà ed ereditarie.
O forse no?