Spesso, quando allestisco un set che contiene elementi calligrafici, non mi é del tutto chiaro se quello che ronza nella mia testa come “soggetto” sia lo scritto (la grafia), la penna che lo ha realizzato o la fotografia in sé come elemento espressivo autonomo, per il quale le cose del set non sono che scuse per catturare nel migliore dei modi (nel migliore di cui sono capace) la mia visione del “più oltre” che circonda e permea ogni realtá che ci sia empatica: lo scopo, secondo me, della fotografia.
Che cosa faccio? Dirigo le luci e uso obiettivi e diaframmi per ottenerne ombre che non si trovano nella realtá bell’e semplice, e ritraggono invece una realtá vicino al sogno, con una nitidezza irreale perché é piú che reale, iperreale. Lo chiamo allora iperrealismo magico. Ma che cosa? Gli oggetti, la luce? Oppure la fotografia?
Allora oggi ho fatto una fotografia. Dentro la foto ci sono scrittura, carta, una penna, luce. Ma il centro é l’espressione, libera, della fotografia. Luci e ombre, bianchi e neri e grigi che definiscono forme, sopra e sotto, volumi, e lo spazio vuoto. Non é la fotografia di un appassionato di penne, né di un calligrafo, non é per un forum di appassionati di stilografiche. É una fotografia per tutti: la fotografia é il soggetto.
Con questo non voglio dire che sia riuscita, né bella. Ma é stato piacevole farla, questa fotografia.