Scrivere con penne leggendarie: ma la carta?
Inviato: martedì 9 marzo 2021, 4:34
Torno a parlare della Montblanc 149 Calligraphy e di un’altra penna leggendaria, la Montblanc Edizione degli Scrittori 1992 “Ernest Hemingway”, ma lo faccio per discutere di un tema a volte un po’ trascurato, parlando di penne: la carta.
Lo farò usando queste due penne per scrivere, ”calligraficamente”, la stessa cosa. È una cosa che penso davvero: per ragioni un po’ diverse, entrambe le penne sono “leggende” nel mondo della stilografica. Quello che presento non è, comunque, un test, perché le due penne usano inchiostri diversi: Diamine Golden Brown nella Montblanc Calligraphy e Rohrer & Klingner Sepia nella Hemingway. Sono entrambi inchiostri ben lubrificati ma, forse, non comparabili tra loro.
Nessuno, credo, può dubitare dello status leggendario della Meisterstück 149. Questa penna esiste dal 1952 e, con qualche modifica qua e là, è sopravvissuta sino ai giorni nostri come una penna iconica e in qualche modo simbolo della penna stilografica. Nella sua versione con lo speciale pennino Calligraphy questa penna è se possibile ancora più leggendaria, come dimostra il suo successo di vendita, nonostante il prezzo certamente non alla portata di tutti.
Dal canto suo la Hemingway è, tra le Montblanc moderne, forse la penna più comunemente ambita nel mondo degli appassionati della scrittura. Dal 1992, anno in cui fu presentata al pubblico, la sua fama ha continuato a crescere e oggi le ventimila penne lanciate come primo modello delle Edizioni degli Scrittori, sembrano non essere sufficienti per rispondere alle richieste del mercato.
Quelle che metterò a confronto in questo argomento non sono in realtà le due penne, ma i loro pennini e il loro comportamento su differenti tipi di carte. Le ragioni del confronto sono soprattutto due: mostrare come un pennino possa dare risultati molto diversi su carte diverse, e come alcuni risultati siano possibili solamente con pennini speciali.
I pennini delle mie Montblanc sono un extra-fine, quello della Hemingway, e un extra-fine flessibile sulla 149 Calligraphy.
Cominciamo dal confronto diretto tra i due pennini su una carta che uso con frequenza perché me ne piacciono la resistenza al tratto, la relativa durezza e secchezza, e il fatto che vi si può scrivere sulle due facce senza trapassamento con quasi tutti i tipi di inchiostri: la Ingrés di Fabriano da 80 grammi.
Il pennino Calligraphy riesce non solo a rilasciare un tratto effettivamente finissimo, ma anche ad eseguire la sua variazione di spessore del tratto rilasciando l’inchiostro in modo controllato, senza quasi spiumatura.
Non sempre il pennino si comporta in modo così esemplare sulla Fabriano Ingrés. Allego qui anche una foto “di esercizio”, scritto sempre con la Calligraphy sulla stessa carta, dove è possibile vedere come in alcuni punti il pennino si sia “puntato” sulle fibre della carta e l’inchiostro la abbia trapassata.
Sulla medesima carta Ingrés il pennino della Hemingway si comporta invece quasi come un medio, con una spiumatura notevole nella maggior parte dei tratti.
La situazione cambia radicalmente quando la Hemingway scrive su un’altra carta vergata Ingrés, quella prodotta dalla tedesca Hanemühle. Qui il tratto del pennino si mantiene sottile, con una linea che definirei tra un fine sottile e un extra-fine abbondante.
Ciononostante, il pennino non può ovviamente flettere in modo significativo, perché le sue caratteristiche fisiche e strutturali non lo consentono. La Hemingway è una straordinaria penna “da tutti i giorni”, ma il suo pennino non è stato disegnato per la calligrafia appuntita.
E torniamo così a un tema che abbiamo abbordato in varie occasioni, quello dei pennini “speciali”. Nessun pennino è, di per sé, così speciale da scrivere calligraficamente da solo. Ha bisogno di una mano esercitata. Ma, allo stesso tempo, nessuna mano, per quanto esercitata, potrà far eseguire un buon Copperplate o una grafia Spenceriana a un pennino che non sia sufficientemente flessibile e di punta sottile, nè a buona cancelleresca a un pennino che non abbia la punta tronca.
Con il pennino giusto e una mano allenata, entrano ancora in gioco altri fattori, come l’inchiostro e la carta. Qui vi allego un paio di immagini di scritte eseguite con la Calligraphy su carte che non uso quasi mai - sono troppo lisce e “burrose”per i mie gusti - ma che, evidentemente, si prestano molto bene per il lavoro calligrafico ed esaltano le caratteristiche sfumature dell’inchiostro. La prima è un cartoncino Bristol di Canson e la seconda la carta color crema di un blocco che possiedo da molti anni e che solo reca sulla copertina la scritta “Stilografica”, senza indicazioni del produttore.
Lo farò usando queste due penne per scrivere, ”calligraficamente”, la stessa cosa. È una cosa che penso davvero: per ragioni un po’ diverse, entrambe le penne sono “leggende” nel mondo della stilografica. Quello che presento non è, comunque, un test, perché le due penne usano inchiostri diversi: Diamine Golden Brown nella Montblanc Calligraphy e Rohrer & Klingner Sepia nella Hemingway. Sono entrambi inchiostri ben lubrificati ma, forse, non comparabili tra loro.
Nessuno, credo, può dubitare dello status leggendario della Meisterstück 149. Questa penna esiste dal 1952 e, con qualche modifica qua e là, è sopravvissuta sino ai giorni nostri come una penna iconica e in qualche modo simbolo della penna stilografica. Nella sua versione con lo speciale pennino Calligraphy questa penna è se possibile ancora più leggendaria, come dimostra il suo successo di vendita, nonostante il prezzo certamente non alla portata di tutti.
Dal canto suo la Hemingway è, tra le Montblanc moderne, forse la penna più comunemente ambita nel mondo degli appassionati della scrittura. Dal 1992, anno in cui fu presentata al pubblico, la sua fama ha continuato a crescere e oggi le ventimila penne lanciate come primo modello delle Edizioni degli Scrittori, sembrano non essere sufficienti per rispondere alle richieste del mercato.
Quelle che metterò a confronto in questo argomento non sono in realtà le due penne, ma i loro pennini e il loro comportamento su differenti tipi di carte. Le ragioni del confronto sono soprattutto due: mostrare come un pennino possa dare risultati molto diversi su carte diverse, e come alcuni risultati siano possibili solamente con pennini speciali.
I pennini delle mie Montblanc sono un extra-fine, quello della Hemingway, e un extra-fine flessibile sulla 149 Calligraphy.
Cominciamo dal confronto diretto tra i due pennini su una carta che uso con frequenza perché me ne piacciono la resistenza al tratto, la relativa durezza e secchezza, e il fatto che vi si può scrivere sulle due facce senza trapassamento con quasi tutti i tipi di inchiostri: la Ingrés di Fabriano da 80 grammi.
Il pennino Calligraphy riesce non solo a rilasciare un tratto effettivamente finissimo, ma anche ad eseguire la sua variazione di spessore del tratto rilasciando l’inchiostro in modo controllato, senza quasi spiumatura.
Non sempre il pennino si comporta in modo così esemplare sulla Fabriano Ingrés. Allego qui anche una foto “di esercizio”, scritto sempre con la Calligraphy sulla stessa carta, dove è possibile vedere come in alcuni punti il pennino si sia “puntato” sulle fibre della carta e l’inchiostro la abbia trapassata.
Sulla medesima carta Ingrés il pennino della Hemingway si comporta invece quasi come un medio, con una spiumatura notevole nella maggior parte dei tratti.
La situazione cambia radicalmente quando la Hemingway scrive su un’altra carta vergata Ingrés, quella prodotta dalla tedesca Hanemühle. Qui il tratto del pennino si mantiene sottile, con una linea che definirei tra un fine sottile e un extra-fine abbondante.
Ciononostante, il pennino non può ovviamente flettere in modo significativo, perché le sue caratteristiche fisiche e strutturali non lo consentono. La Hemingway è una straordinaria penna “da tutti i giorni”, ma il suo pennino non è stato disegnato per la calligrafia appuntita.
E torniamo così a un tema che abbiamo abbordato in varie occasioni, quello dei pennini “speciali”. Nessun pennino è, di per sé, così speciale da scrivere calligraficamente da solo. Ha bisogno di una mano esercitata. Ma, allo stesso tempo, nessuna mano, per quanto esercitata, potrà far eseguire un buon Copperplate o una grafia Spenceriana a un pennino che non sia sufficientemente flessibile e di punta sottile, nè a buona cancelleresca a un pennino che non abbia la punta tronca.
Con il pennino giusto e una mano allenata, entrano ancora in gioco altri fattori, come l’inchiostro e la carta. Qui vi allego un paio di immagini di scritte eseguite con la Calligraphy su carte che non uso quasi mai - sono troppo lisce e “burrose”per i mie gusti - ma che, evidentemente, si prestano molto bene per il lavoro calligrafico ed esaltano le caratteristiche sfumature dell’inchiostro. La prima è un cartoncino Bristol di Canson e la seconda la carta color crema di un blocco che possiedo da molti anni e che solo reca sulla copertina la scritta “Stilografica”, senza indicazioni del produttore.