Pilot Varsity anni '80
Inviato: mercoledì 30 agosto 2017, 14:25
Parte Prima
La Pilot Varsity - che mi accingo a recensire - risale (ma proprio questa) alla fine degli anni ’80.
Si tratta di una penna stilografica definita “disposable”, vale dire “usa e getta” (significativamente, un’altra traduzione del termine è: “che non si può usare più di tanto”).
Orbene, eravamo abituati a considerare alcuni oggetti “per sempre” come appunto le stilografiche o gli orologi che ci regalavano in occasione della cresima o della laurea; altri beni erano comunque “per lungo tempo” come le scarpe o i cappotti (che per i piccoli, ricorderete, si acquistavano con il principio della “crescenza”, vale a dire di taglie maggiori del necessario per essere usati per più tempo).
Ma una decina di anni prima si era scoperto l’ “effimero”, l’ontologicamente transeunte, l’approccio non più aulico alla cultura.
Qualcuno ricorderà le estati romane al Massenzio, l’Arch. Nicolini e la proiezione del Napoleon di Abel Gance nel 1981.
Probabilmente il portato di un pensiero debole (debole è soltanto la sua autodefinizione e non vuole essere un termine denigratorio)o del principio di incompletezza.
In quel periodo, esplode il fenomeno degli Swatch e Tex Willer comincia a valere quanto Renzo Tramaglino (che - comunque - ho sempre considerato un po’ cretino, degno futuro consorte di quella madonnina infilzata della Lucia, “quest'acqua cheta, questa santerella, questa madonnina infilzata, che si sarebbe creduto far peccato a guardarsene").
Non pensate che stia rimpiangendo i bei tempi andati.
Non è quello il senso.
E’ il prendere atto del cambiamento in corso, giusto o sbagliato che sia.
Insomma, venendo a noi, ritrovo giorni fa questa penna nel cassetto e, avendo già ricaricato un Pilot V5 Hi Tecpoint con successo (leggasi: senza spargimento di inchiostro, che nel caso di specie consisteva in un vecchio Quink Parker Solv X, made in England, della fine degli anni ’80, della serie: qui non si butta niente), mi domando perché non farlo anche con questa stilografica.
E, quindi, la smonto.
Ovviamente, per restare in tema, uso una pinza che ho pagato pochi centesimi e il rullo di plastica di una macchinetta per sigarette che si era rotta.
Per il gusto di andare controcorrente, per farla diventare una “fountain pen usa e non getta”.
Ecco la penna smontata.
Segue ...
La Pilot Varsity - che mi accingo a recensire - risale (ma proprio questa) alla fine degli anni ’80.
Si tratta di una penna stilografica definita “disposable”, vale dire “usa e getta” (significativamente, un’altra traduzione del termine è: “che non si può usare più di tanto”).
Orbene, eravamo abituati a considerare alcuni oggetti “per sempre” come appunto le stilografiche o gli orologi che ci regalavano in occasione della cresima o della laurea; altri beni erano comunque “per lungo tempo” come le scarpe o i cappotti (che per i piccoli, ricorderete, si acquistavano con il principio della “crescenza”, vale a dire di taglie maggiori del necessario per essere usati per più tempo).
Ma una decina di anni prima si era scoperto l’ “effimero”, l’ontologicamente transeunte, l’approccio non più aulico alla cultura.
Qualcuno ricorderà le estati romane al Massenzio, l’Arch. Nicolini e la proiezione del Napoleon di Abel Gance nel 1981.
Probabilmente il portato di un pensiero debole (debole è soltanto la sua autodefinizione e non vuole essere un termine denigratorio)o del principio di incompletezza.
In quel periodo, esplode il fenomeno degli Swatch e Tex Willer comincia a valere quanto Renzo Tramaglino (che - comunque - ho sempre considerato un po’ cretino, degno futuro consorte di quella madonnina infilzata della Lucia, “quest'acqua cheta, questa santerella, questa madonnina infilzata, che si sarebbe creduto far peccato a guardarsene").
Non pensate che stia rimpiangendo i bei tempi andati.
Non è quello il senso.
E’ il prendere atto del cambiamento in corso, giusto o sbagliato che sia.
Insomma, venendo a noi, ritrovo giorni fa questa penna nel cassetto e, avendo già ricaricato un Pilot V5 Hi Tecpoint con successo (leggasi: senza spargimento di inchiostro, che nel caso di specie consisteva in un vecchio Quink Parker Solv X, made in England, della fine degli anni ’80, della serie: qui non si butta niente), mi domando perché non farlo anche con questa stilografica.
E, quindi, la smonto.
Ovviamente, per restare in tema, uso una pinza che ho pagato pochi centesimi e il rullo di plastica di una macchinetta per sigarette che si era rotta.
Per il gusto di andare controcorrente, per farla diventare una “fountain pen usa e non getta”.
Ecco la penna smontata.
Segue ...