Quale fosse in Italia, alle soglie del primo conflitto mondiale, il rivoluzionario sentire degli Artisti più visionari dell’avanguardia rispetto alla fondazione di una “Città Nuova” che rispondesse alle imperiose sollecitazioni della modernità, si può evincere chiaramente dal “Manifesto dell’architettura futurista” (Milano, 11 Luglio 1914): firmato dal giovane, talentuosissimo architetto Antonio Sant’Elia, il Manifesto raccoglie le suggestioni e i principi del movimento futurista, enunciati da Marinetti nel 1909 e subito condivisi, rielaborati e codificati per nuovi ambiti dai grandissimi Boccioni, Carrà, Russolo, e poi Balla, Depero…
Per il demiurgico Filippo Tommaso Marinetti, le scoperte scientifiche hanno mutato la sensibilità umana e “rimpicciolito” il mondo; per il sommo Umberto Boccioni, la sfida della modernità si verrebbe così a concretare in un nuovo “ritmo” del presente, che è «esaltazione lirica, plastica manifestazione di un nuovo assoluto: la velocità; di un nuovo meraviglioso spettacolo: la vita moderna; di una nuova febbre: la scoperta scientifica»; e per Antonio Sant’Elia, l’uomo nuovo dovrà costruire ed abitare la “sua” nuova città: Antonio Sant’Elia (1888-1916): “Stazione d’aeroplani e treni ferroviari con funicolari e ascensori, su tre piani stradali” (1914), particolare [in questa e in tutte le foto seguenti]
«Sentiamo di non essere più gli uomini delle cattedrali, dei palazzi, degli arengari; ma dei grandi alberghi, delle stazioni ferroviarie, delle strade immense, dei porti colossali, dei mercati coperti, delle gallerie luminose, dei rettifili, degli sventramenti salutari.
Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista, simile ad un immenso cantiere tumultuante, agile, dinamico in ogni sua parte, e la casa futurista simile ad una macchina gigantesca…
La casa di cemento di vetro di ferro senza pittura e senza scultura, ricca soltanto della bellezza congenita alle sue linee e ai suoi rilievi, straordinariamente “brutta” nella sua meccanica semplicità, alta e larga quanto più è necessario… deve sorgere sull’orlo di un abisso tumultuante: la strada, la quale non si stenderà più come un soppedaneo al livello delle portinerie, ma si sprofonderà nella terrà per parecchi piani, che accoglieranno il traffico metropolitano e saranno congiunti per transiti necessari, da passerelle metalliche e da velocissimi tapis roulants…» Una penna autenticamente “futurista”, oggetto della presente ricerca, sarebbe quindi dovuta nascere dalla scienza (dalla tecnologia sviluppata nell’industria) ed essere concepita in base ai medesimi principi stilistici enunciati nel Manifesto:
«…Come gli antichi trassero ispirazione dell'arte dagli elementi della natura, noi - materialmente e spiritualmente artificiali - dobbiamo trovare quell'ispirazione negli elementi del nuovissimo mondo meccanico che abbiamo creato…
L’architettura futurista è l’architettura del calcolo, dell’audacia temeraria e della semplicità; l’architettura del cemento armato, del ferro, del vetro, del cartone, della fibra tessile e di tutti quei surrogati al legno, alla pietra e al mattone che permettono di ottenere il massimo della elasticità e della leggerezza…». «…L'architettura futurista non è per questo un'arida combinazione di praticità e di utilità, ma rimane arte, cioè sintesi, espressione…
La decorazione, come qualche cosa di sovrapposto all'architettura, è un assurdo, e che soltanto dall'uso e dalla disposizione originale del materiale greggio o nudo o violentemente colorato, dipende il valore decorativo dell'architettura futurista…». Si dovette attendere la ripresa, dopo l’immane tragedia della Grande Guerra che aveva inevitabilmente prostrato le economie dei paesi belligeranti, ma già nel 1920 Tibaldi folgorò il mercato lanciando il modello “Perfecta”, l’unica penna stilografica italiana in grado di soddisfare, come vedremo nel corso della recensione, tutte le condizioni (im)poste dai Futuristi: d’altronde, cosa potrebbe esservi di più marinettianamente “Zang Tumb Tuuum” di una penna
AUTOMATICACONPENNINORETRATTILEAMOLLA ?!?
La penna
TIBALDI “PERFECTA” AUTOMATICA misura unica, in ebanite nera liscia, pennino retrattile a molla (Warranted 14 Kt), caricamento a torsione, prodotta in Italia nell’anno 1920. Inquadramento generale
Chi volesse conoscere l'interessante storia di uno dei Produttori più blasonati, il primo assolutamente “italiano”, come già negli anni ‘20 orgogliosamente era stampato sulle belle scatoline delle rientranti, potrà fare riferimento al nostro formidabile Wiki:
https://www.fountainpen.it/Tibaldi/it
Più nel dettaglio, si consulti il capitolo sui modelli iniziali della Casa:
https://www.fountainpen.it/Modelli_iniziali_Tibaldi
Tuttavia, poiché la “Perfecta” non ha ancora un suo capitolo sul Wiki, e sembra essere tra le penne rare e significative la meno documentata nel web (nessun commento, nessuna foto da me ritrovati!), integrerò la mia recensione con l’esame di alcune fonti iconografiche ricavate dalla bibbia del collezionismo stilografico italiano, l’imprescindibile
“La Storia della Stilografica in Italia 1900-1950” di Letizia Jacopini,
e con l’analisi di un’importante serie di informazioni storico/tecniche desunte da
“TIBALDI”, AA.VV., Ed. Mondadori Electa, 2007, pag.115.
Il nome
“Perfecta”: che non ha mancamenti, intiera, compiuta, eccellente, alla pari dell’essere supremo che non ha difetti…
Un’interessante primogenitura caratterizza la penna in esame: quando la stilografica uscì, in Italia una penna “con il nome” (e che nome!) non si era ancora mai vista…
Storia del modello
Giuseppe Tibaldi volle una penna ammiraglia dai contenuti tecnici assolutamente straordinari e dalle linee inconfondibili: affidò così il progetto alla lucida competenza ed alla geniale creatività di Giovanni Benelli, “deus ex machina” alla Tibaldi per oltre un quindicennio dalla fondazione del Marchio avvenuta, giova ricordarlo, il 20 Ottobre del 1916.
Nell’enciclopedia di Letizia Jacopini, a pag.148 compare una pagina di quello che dovrebbe essere il Listino n°1, presumibilmente risalente al 1920, che mostra la limitata gamma dei modelli di primissima produzione a marchio TIBALDI, dopo le prime esperienze fatte dalla Casa sotto l’esterofilo (e volutamente fuorviante) marchio “The GBT Pen - London”: si tratta di quattro misure di rientranti (#2 piccola, #3 corta, #4 media, #5 lunga) e del top di gamma, il modello “Perfecta” (offerta significativamente senza decorazioni).
Per avere un’idea del prezzo di vendita in rapporto alle altre stilografiche della Casa, dobbiamo esaminare un listino Tibaldi in spagnolo (consultabile sul secondo testo cit. a pag.66), nel quale si offre ai rivenditori una gamma ampliata di penne, ancora però tutte in ebanite. Quest’ultimo dettaglio, mancando accenni ad ebaniti colorate e tanto più alla celluloide di là da venire, consentirebbe di datare ragionevolmente il listino alla metà degli anni ‘20.
I prezzi applicati sono i seguenti:
penne con caricamento a contagocce:
- N.1 sottile a punta fissa Lit.35;
rientranti:
- N.2 piccola e N.3 corta a Lit.40,
- N.4 media e N.5 larga a Lit.45,
- N.6 grande a Lit.60,
[niente N.7, refuso di stampa o scaramanzia fiorentina?!]
- N.8 gigante a Lit.80;
penne a riempimento automatico [levetta?]:
- N.10 e N.11 a Lit.50;
“Perfecta” a funzionamento automatico:
- N.12 media, proposta a Lit.80. A partire dal 1920, anno del lancio, la “Perfecta” restò in produzione per poco meno di un decennio senza subire modifiche rispetto al progetto iniziale: non era forse nata già perfecta?!
Nel corso degli anni, alcuni esemplari furono destinati alla committenza “pubblicitaria”: Letizia Jacopini a pag.149 dell'Enciclopedia ne mostra una bellissima marchiata
OFFICINE FERROVIARIE MERIDIONALI
NAPOLI
Continua....