Carissimi tutti:
grazie per le vostre gentili parole.
Davvero credo che
provare sia essenziale. Io, dal mio punto di vista, difficilmente suggerirei di fare esercizi "sterili" (come pagine e pagine di aste e curve superiori, aste e curve inferiori, ecc.), anche se mi rendo conto che questo tipo di esercizi possano alla lunga ripagare moltissimo. Suggerisco piuttosto di esercitarsi con un progetto, o con vari progetti.
Per me,
una penna é un'opportunità. Opportunità di lasciare un segno proprio, opportunità di scrivere un pensiero che sarebbe rimasto nascosto nel nostro cuore, opportunità di rendere visibile un dettaglio dell'anima, un'immagine solo sognata, opportunità di copiare su un foglio un pensiero d'altri che ci pare affine al nostro modo d'essere, e che perciò in qualche modo ci descrive, opportunità di ricordare su un pezzo di carta un fatto insignificante, una data, prima che il vento del tempo la spazzi via dalle cose e dalla memoria. Infiniti sono i progetti, le ragioni dello scrivere e di tracciare segni. Ciò che li accomuna é il fatto che rappresentano un'espressione propria, e questo li rende unici e assoluti. Non importa quanto "creativa" sia l'espressione: una penna é una straordinaria opportunità per esprimersi.
Ma una penna é anche una straordinaria opportunità
per trattarsi bene.
Di solito, non posso dedicare molto tempo all'espressione durante la settimana. Quando posso (e frequentemente non posso), questo é il mio gioco e la mia felicità del fine settimana. Durante la settimana, però, progetto. Decido che copierò un paio di paragrafi da un'opera pazza di Friedrich Nietzsche, dai
Ditirambi di Dioniso o da
Così parlò Zarathustra. Possiedo queste due opere nella splendida edizione che aveva pubblicato Adelphi nella sua collana "I Classici", che considero (parlando editorialmente) i più bei libri prodotti dall'editoria contemporanea italiana. Bene, ho una scusa, la sera, per sfogliarli, per scegliere il brano o i brani che scriverò. Sfoglio i libri, e già questo é un piacere anticipato dell'opera che ho in mente.
Devo decidere se il testo sarà in italiano, o nell'originale tedesco, o entrambi. I "Ditirambi", nella versione adelphiana, hanno il testo a fronte, ma "Zarathustra" no. Va bene, una di queste sere dovrà mettermi al computer e cercare su Internet la versione tedesca e copiare da lí le linee che mi interessano. So che, al farlo, mi perderò tra altre cose nietzschiane, leggerò d'altro, e sarà un altro piacere anticipato.
O sará invece l
'incipit del
Popol vuh, la straordinaria cosmogonia della cultura Quiché in Guatemala? In quale traduzione? Mhhhhh...
Come sará il mio lavoro? Grande? Piccolo? Orizzontale? Verticale? Ho la carta adeguata? Ne ho una, che mi ha regalato un'amica francese, fatta a mano in Francia da cartai inglesi, color canna da zucchero chiaro, dura, resistente, leggermente ostica al pennino. Quasi 40 per 50 centimetri. Potrà andare? Una di queste sere la toglierò dalla cartella e cominceró a lasciarla sulla scrivania. Passerò le dita sulla superficie ruvida della carta, ne sentirò la secchezza, guarderò la filigrana in controluce, e non farò nient'altro se non ammirarla e immaginarla con un testo che significa qualcosa
per me. E intanto, rovisterò nella cartella, estrarrò altri fogli, di altri colori, di un peso diverso, più o meno ruvidi, con i bordi tagliati oppure intonsi, riprenderò tra le dita un foglio di vera pergamena, stupendo, un regalo che non ho mai avuto il coraggio di inchiostrare... Gli occhi, il tatto, l'odore della carta già vecchia...
Con quale carattere lo scriverò? Con quale inchiostro? Con quale penna e pennino? Aggiungerò una illustrazione? C'é tanto da cercare, da decidere, da provare. E' una buona scusa per rigirarsi tra le dita le resine, le celluloidi, i metalli delle penne, per prendere un fogliaccio e tirare linee e godere del carattere di ogni pennino, e gingillarsi con i nostri piccoli tesori.
E' probabile che una settimana, dedicandoci qualche sera, sia troppo poco per fare il progetto. Ne serviranno due o tre. Ma saranno settimane di piaceri, in attesa del gran fine settimana. Allora sarà tutto pronto: i testi, gli inchiostri la carta e le penne, i bozzetti, le linee tirate sul foglio, le prove dei caratteri. Ed io sarò pronto, e potrò ancora sbagliare. Quando la penna va sul foglio "in bella", é bravissima a sbagliare: il pennino s'impunta, la mano non fa la curva, e se la fa, viene con uno spigolo, e le dita umide per la tensione spandono l'inchiostro di quello che andava già bene... Un'opera non é mai perfetta. Come ben sanno i nostri cari, quelli che ci stanno vicini, é anche, per lo più, completamente inutile.
Ma: é una parte di noi. Ed é il frutto di una somma di piaceri. Non c'é fretta, non c'é ragione di aver fretta. Dall'anima alla carta é un lungo viaggio, punteggiato di piaceri e di scoperte.