Daniele ha scritto:Sono di ritorno dallo studio televisivo.
Ora ho le prove! Nulla di piú finto e fuorviante della TV.
Nella preparazione si era concordato di dire un pó di piú sulla storia della 88 ma alla fine quello che interessava era "sparare" che arrivano fine a mille euro senza specificare come e perché...
Esperienza deludente ma che mi permetterá di soppesare meglio in futuro le informazioni provenienti dai servizi televisivi.
Quello che conta non è la qualità dell'informazione ma la sua "vendibilità".
Ho due aneddoti a proposito, ricavati dalla mia militanza in una famosissima associazione per la politica e la visibilità delle persone LGBT.
Numero uno: nel 2009 l'ufficio stampa viene contattato da un regista che chiede due "testimonial" che raccontino la loro storia personale nel programma "le amiche del sabato", in onda il sabato pomeriggio. Parte un dibattito interno all'associazione su chi mandare che possa degnamente rappresentare in televisione le persone gay, lesbiche, bisessuali senza scadere nel drammatico. Si sceglio per il mio amico Federico, di Pisa. Fratello seminarista, storia difficile di accettazione di sè che si risolve grazie alla famiglia che non gli fa mai mancare il suo amore e supporto. Federico scrive un sunto della sua storia e lo manda al regista. Ci telefona infuriato: "Dov'è il dramma?". Rispondiamo che ci veniva chiesta una storia reale, e noi l'abbiamo fornita. Se vogliono il dramma lo cerchino al cinema. Risultato: la presenza come ospite al programma è stata cancellata, in sua vece è stata registrata un'intervista che poi non verrà mai mandata in onda. Misteriosamente in quelle settimane compare una nuova associazione "Agapo", che scimmiottava un'associazione esistente (AGeDO), ma portava storie di omosessuali respressi che con l'aiuto della preghiera e di un prete/psicologo riparatore sono "guariti" dall'omosessualità. Ho vomitato.
Numero due: una mia amica napoletata subisce violenza sessuale: "Lesbica schifosa ti insegnamo noi a prenderlo".
Coraggiosamente, lei decide di denunciare l'accaduto e i suoi aggressori. Non si sa come, dalla questura la notizia vola sui giornali, e lei si vede sotto i riflettori. Data la sua determinazione e il suo coraggio, non si sottrae al dibattito e ci tiene a raccontare l'accaduto e le sue squallide motivazioni, denunciando apertamente il sessismo e la lesbofobia della sua città. Viene contattata quindi da un giornalista del TG regionale, che la incontra in un caffè con tanto di telecamera per registrare un intervista. Lei accetta, e racconta al giornalista la squallida storia e denuncia il sessismo, e lo fa nel modo che le è proprio: con la grinta e la determinazione di chi reagisce allo squallore e mostra al mondo la sua forza. Il giornalista commenta: "Così non può andare. Facciamo una cosa: rifacciamo tutti, mi racconti di nuovo la tua storia, ma questa volta piangi un po', così la ripresa viene meglio". In tutta risposta la mia amica lo manda, non certo cordialmente, a qual paese.
Alla fine, potrei dire che sei fortunato ad essere "solo" stato costretto all'estrema (estremissima) sintesi e sei stato infilato "a forza" nel format che hanno deciso per te. Potrei, ma invece capisco, capisco bene come questo modo di lavorare ti faccia sentire. La TV, il "mainstream" culturale del nostro paese, non può essere definito che con una parola: OPPRIMENTE. Opprimente perché banalizza tutto, appiattisce discorsi e dimentica i significati, incastra tutto e tutti in forme definite dall'"ufficio marketing".