E' proprio come hai intuito, Luca! La Cancelelresca ha una struttura, un modo di disegnare le lettere e una "ritmica" particolare e universale, poi ciascun autore o calligrafo, nel corso del tempo, ha dato una sua personale versione dello stile. Se confronti i testi dei due più famosi trattatisti italiani del Cinquecento, Arrighi e Tagliente, ti accorgerai di come la loro cancelleresca si somigli nella struttura, ma assuma due forme (interpretazioni) un po' differenti.
Nell'epoca contemporanea, una rivisitazione che trovo bellissima è quella del prof. Reynolds e quella del famosissimo calligrafo britannico Alfred Fairbanks (
"A handwriting manual" ) il cui italico è dolce e aggraziato, le curve più arrotondate. Ottimo il testo di Eric Hebborn, peraltro in italiano, che ha invece una interpretazione dello stile un po' più "spigolosa" e le suddette curve si chiudono, cambia insomma il ritmo della scrittura. Confrontarli è sempre un'ottima cosa, però a mio avviso si deve poi fare una scelta precisa e seguire un testo solo o un paio, al limite, non di più perché ci si distrae e non ci si raccapezza più!
Poi quando si è imparato a scrivere con padronanza nella cancelleresca del testo di riferimento, è un'ottima cosa affrontare gli altri testi. In questo modo si possono apprezzare appieno tutte le differenze e le sfumature più sottili. E così si giunge al momento fatidico, quello in cui ci si accorge che la nostra cancelleresca è diventata, appunto, nostra. Attraverso la padronanza, l'esercizio, il paragone, l'esperimento, la prova, una cancelleresca del tutto personale è nata dalla nostra mano, ortodossa ma individuale.
Magari non si riuscirà mai a raggiungere la perizia di un vero calligrafo, ma la soddisfazione di padroneggiare uno stile e poterne cogliere le sfumature, è enorme!
