Irishtales ha scritto:Ancora abbastanza incredula vi annuncio, per chi non se ne fosse ancora accorto che... ScriptaVana si è iscritto al Forum!!!
Attendiamo con impazienza e curiosità i suoi interventi 
Torno a ringraziare d’obbligo la cortesia della Moderatrice Irishtales per la stima espressa, con un eccesso di sopravvalutazione che mi affretto a vanificare qui di seguito.
In verità la questione della composizione degli inchiostri metallogallici storici è pari a complessità a quella della determinazione della qualità della lana caprina, soprattutto se ci si affida alle informazioni reperibili in rete per le quali è verificabile il fenomeno della reciprocità referenziale.
Rivendico senza remora alcuna una diretta partecipazione in ciò.
Esistono contrapposti due dai: uno oggettivo, ovvero chimico, un secondo storico, o di tradizione letteraria.
Indubbiamente il dato chimico nega la possibilità di avere inchiostri cuprogallici, per il semplice motivo che il solfato di rame non reagisce all’acido tannico; e di ciò anche lo scrivente ha avuto prova seguendo le indicazioni di una ricetta storica associante acido tannico estratto per bollitura da galle di quercia, acqua, gomma arabica e vino [1].
Per contro, si hanno ricette storiche, in verità poche [2], per le quali si fa menzione d’uso di solfati di rame, ma in questi casi l’unico elemento identificativo discriminante è la terminologia utilizzata che già avete considerato nei precedenti interventi.
D’altro canto, ricette presumibilmente a base di solfato rameico sono state sperimentate ed analizzate secondo moderni metodi analitici, che curiosamente sono stati intesi alla possibilità di identificare sicuramente i componenti, non alla efficacia a fini scrittori [3].
Pertanto, a fronte di un dato oggettivo che nega la possibilità di avere inchiostri cupro-gallici esiste una tradizione letteraria facente capo ad una chimica necessariamente qualitativa che riferisce di tali inchiostri.
Si può tuttavia ricorrere ad un testo che per temperie culturale avvalora i criteri della sperimentazione pratica pur mantenendo gli aspetti linguistici della classificazione tradizionale: «aussi des quatre especes de vitriol, celui qu’on appelle vitriol de Chypre ou de Hongrie, est le seul qui ne fasse point d’encre, parce que c’est le seul dont la base soit de cuivre, au lieu que dans les autres c’est du fer» [4].
Il problema della edizione antologica delle ricette è che non cura l’aspetto della collocazione delle stesse nel complesso del testo in cui si trovano, in altri termini vengono estrapolate facendo così perdere il nesso necessario che ne può identificare la tradizione: è un problema di esegesi della fonte.
Rimane così il dubbio che le ricette che tramandano notizia dell’uso di vetriolo di rame, stante anche la rarità delle stesse, non siano in realtà una coscienziosa osservanza degli autori ad una tradizione consolidata: quasi come l’unicorno e Marco Polo [5].
Più facilmente, vale la considerazione è che il grado di raffinazione del solfato in epoca precedente la chimica moderna lascia sicuramente abbonanti tracce di “contaminanti” o almeno in quantità tale da consentire la produzione di un inchiostro soddisfacente.
E in siffatto modo si mette al mondo un altro topolino alpino.
In ogni caso, il buon anno a Loro tutti.
BV
[1] si ammette: il vino non ha avuto esclusiva destinazione sperimentale; ah … hem …
[2] cfr. MONIQUE ZERDOUN BAT-YEHOUDA,
Les encres noires au Moyen Âge (jusqu’à 1600), Paris 1983
[3] ad esempio J.SENVAITIENË, A.BEGANSKIENË et al.,
Characterizazion on historical writing inks by different analytical techniques, in «Chemia» 2005, t.16, n.3-4, pp 34-38; la ricetta con componente in rame è la n. 5, singolarmente non la si identifica relativamente alla fonte; lo studio è reperibile in rete
[4]
Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des metiers, Paris 1751, s.v.
[5] Marco Polo, avendo visto il rinoceronte, si affretta a smentire la tradizionale immagine letteraria dell’unicorno, specificando che il primo è molto laida bestia e che non è punto vero che si faccia facilmente prendere da leggiadra pulcella, piuttosto il contrario