Nella mia vita, di stilografiche ne ho perdute tre. In realtà, due non sono proprio state "perdute", bensì qualcun altro se ne è serenamente
impossessato, e se in un caso il karma ha colpito e io ho riso per ultima, nell'altro a distanza di quasi vent'anni ho ancora il nervoso per l'ingiustizia subita.
La prima in ordine cronologico è stata una Lamy ABC rossa, in terza elementare. Superato il periodo obbligato delle biro, a un certo punto finalmente la
moratoria antistilografiche imposta dalla mia maestra di italiano cessò (in poche parole ci autorizzarono a utilizzare la penna che preferivamo, purché fosse nera o al massimo blu), e io misi da parte la paghetta per almeno tre mesi prima di potermi comprare questa scolastica in legno dall'aspetto giocattoloso che avevo visto nella vetrina della mia cartoleria preferita. Acquistate anche le cartucce adatte in una diversa cartoleria, perché non era molto intuitivo che servissero di modello diverso dalle
standard, iniziai a utilizzare questo fantastico strumento di scrittura nel quotidiano, innamorandomi perdutamente del medesimo. Il pennino era scorrevole come burro, e la mia abitudine di utilizzare quaderni Pigna 100 impediva il trapasso dell'inchiostro da una pagina all'altra: persino la mia abituale grafia squadrata e pasticciata migliorò.
L'idillio durò esattamente due mesi, finché non scoprii che una stilografica era la replica definitiva alla passione per le cerbottane artigianali fabbricate con il fusto della BIC di un mio compagno di classe: a ogni proiettile di carta sputacchiata
con una puntina dentro, lo punzecchiavo nelle chiappe con la Lamy ABC. Il problema è che, una volta scoperta, la maestra mi sequestrò la penna asserendo che la mia reazione difensiva fosse
sproporzionata all'offesa (all'epoca non esisteva il
grave turbamento emotivo...), promettendo di restituirla a mia madre al colloquio delle pagelle. Mai più rivista.
Questa ingiustizia - perché il mio compagno non ricevette nessuna punizione, come anche molte altre mie compagne in diverse occasioni, vuoi perché figlie di litigiosi avvocati, vuoi perché rampolle di noti professori universitari, chissà come mai - mi colpì talmente che l'anno scorso, dopo due decenni, quando ho visto in una cartoleria di Busto Arsizio una Lamy ABC uguale alla mia, l'ho comprata. E la uso spesso. E proprio come allora, è stato amore a prima riga.
La seconda è stata una
Waterman in plastica di modello ignoto, verde a fiorellini con un pennino dorato. L'acquistai al supermercato in seconda media, desiderosa di avere finalmente una stilo da poter usare a scuola senza che a mia madre venissero angosce e patemi d'animo nell'affidarmi prodotti di lusso venduti nel negozio dei miei. Forte della mia migliorata disponibilità economica - che mi derivava dalle bancarelle di vestiti firmati che mettevo su a scuola con gli abiti scartati dalla mia zia fashionista a cadenza semestrale - la comprai anche se costava ben dodici euro o qualcosa del genere. Aveva un tratto asciutto e forse un po' troppo fine per i miei gusti, ma scriveva benissimo senza mai perdere un colpo... finché, un bel giorno, una mia amica fece un capriccio affinché gliela prestassi
"per provarla". E per "capriccio" intendo veramente capriccio: questa ragazza era cresciuta fin da piccola con l'idea che pestando i piedi e piagnucolando avrebbe ottenuto qualsiasi cosa dai genitori, e purtroppo a 14 anni era convinta che il sistema funzionasse ancora. Il fatto è che, per sfinimento degli interlocutori, finiva per avere anche ragione (e, tra parentesi, questa sua abitudine ad ignorare i bisogni del prossimo fu anche il motivo per il quale litigammo alla fine della terza media). Orbene, questa ragazza aveva l'abitudine di scrivere calcando come la pressa sfascialamiere dell'ITALSIDER di Taranto. Dopo dieci minuti passati nelle sue mani, comparvero salti di tratto e interruzioni mai verificatisi prima d'allora, e alla fine semplicemente
persi la penna di vista sicché non so che fine abbia fatto. Può darsi anche che la mia abitudine di usarla con il mefitico Pelikan 4001 Brilliant Black senza
mai lavarla, però, possa aver contribuito...
La terza era una pura cinesata similmontblanc copiata pure male, marca MonteMount, che però scriveva bene e che usavo con gli inchiostri problematici o che macchiavano. Aveva il pregio di avere un pennino M ben scorrevole, cosa strana per i cinesi che tendono ad essere più sottili, e di essere interamente smontabile, cosa che la rendeva semplice da pulire ed asciugare.
L'ho lasciata incustodita cinque secondi in biblioteca all'Università, e un astuto manolesta - credendo forse di impossessarsi di una lussuosa 146 con pennino in oro - ha ben pensato di impossessarsene.
Avrei voluto essere una mosca per vedere che faccia avrebbe fatto poi, accorgendosi di aver rubato un lussuoso pezzo di... tolla

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