Non so cos'altro hai in lista ma questo libro merita un posto molto in alto: è, a mio avviso, uno dei migliori "romans durs" di Simenon.
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17 maggio 2025 - Hotel AC Marriot, via Luciano Bausi, 5
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Scusate la doppia risposta, ma ieri non avevo proprio modo e tempo.
Al momento in alto nella lista ho due testi in apparenza distanti, ma per me collegati da un'idea di fondo:
- Geoffrey West "Scale"
- Carl Benedict Frey "The Technology Trap"
(in sostanza l'idea che sto esplorando, molto modestamente e con le mie risorse è: ma possiamo crescere indefinitamente, anche da un punto di vista economico, ma non soltanto, diciamo anche tecnologico. E' sostenibile, non solo ecologicamente, che pure è fondamentale, ma anche da un punto di vista di un progresso che sia anche umano ? E se la tecnologia adesso vira verso l'AI, sempre ammesso che ci si riesca, avrebbe senso creare qualcosa che risolve problemi (scientifici, economici, pratici ecc.) al posto nostro in un modo che forse non riusciremo alla fine neppure più a comprendere? Che cosa ne sarebbe dell'essere umano a quel punto ? )
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Mi sembrano due libri nel filone dell'ottimismo cosmico di Malthus...il pastore americano che nel 17 secolo voleva che i poveri facessero meno figli altrimenti arrivavano le carestie...Andre1977 ha scritto: ↑giovedì 27 febbraio 2025, 14:57 due testi in apparenza distanti, ma per me collegati da un'idea di fondo:
- Geoffrey West "Scale"
- Carl Benedict Frey "The Technology Trap"
(in sostanza l'idea che sto esplorando, molto modestamente e con le mie risorse è: ma possiamo crescere indefinitamente, anche da un punto di vista economico, ma non soltanto, diciamo anche tecnologico. E' sostenibile, non solo ecologicamente, che pure è fondamentale, ma anche da un punto di vista di un progresso che sia anche umano ? E se la tecnologia adesso vira verso l'AI, sempre ammesso che ci si riesca, avrebbe senso creare qualcosa che risolve problemi (scientifici, economici, pratici ecc.) al posto nostro in un modo che forse non riusciremo alla fine neppure più a comprendere? Che cosa ne sarebbe dell'essere umano a quel punto ? )

PS Non ho letto e non conosco i due libri che citi, quindi OVVIAMENTE il mio non è un giudizio ma una battuta

Venceremos.
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maylota ha scritto: ↑giovedì 27 febbraio 2025, 15:17Mi sembrano due libri nel filone dell'ottimismo cosmico di Malthus...il pastore americano che nel 17 secolo voleva che i poveri facessero meno figli altrimenti arrivavano le carestie...Andre1977 ha scritto: ↑giovedì 27 febbraio 2025, 14:57 due testi in apparenza distanti, ma per me collegati da un'idea di fondo:
- Geoffrey West "Scale"
- Carl Benedict Frey "The Technology Trap"
(in sostanza l'idea che sto esplorando, molto modestamente e con le mie risorse è: ma possiamo crescere indefinitamente, anche da un punto di vista economico, ma non soltanto, diciamo anche tecnologico. E' sostenibile, non solo ecologicamente, che pure è fondamentale, ma anche da un punto di vista di un progresso che sia anche umano ? E se la tecnologia adesso vira verso l'AI, sempre ammesso che ci si riesca, avrebbe senso creare qualcosa che risolve problemi (scientifici, economici, pratici ecc.) al posto nostro in un modo che forse non riusciremo alla fine neppure più a comprendere? Che cosa ne sarebbe dell'essere umano a quel punto ? )![]()
PS Non ho letto e non conosco i due libri che citi, quindi OVVIAMENTE il mio non è un giudizio ma una battuta![]()
Ahahah sì ci può stare come battuta !
Il primo è più di taglio scientifico, il secondo più storico/sociologico. E neppure io li conosco visto che sono in lista, infatti il timore è che si rivelino delle "sole" e prima di acquistarli vorrei sfogliarli in biblioteca/libreria...se fosse possibile.
Diciamo che mi interesso (per pura curiosità) di argomenti che ruotano attorno al tema dello sviluppo sociale/umano (che oggi riguarda molto anche quello tecnologico) e relative connessioni con l'economia (e la geopolitica?). Malthus (e la Decrescita felice) sono due risposte un pò "naif", grossolane, a problemi che tuttavia esistono.
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non è un romanzo, ma cronache di errori giudiziari e casi costruiti.
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Con questo titolo si chiude la quadrilogia "Epopea americana": lettura caldamente consigliata!
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Letto in un soffio, notevole.
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Letto in un fine settimana piovoso, l'ho appena finito e mi è piaciuto molto, quindi ve lo consiglio.
Non esiste un’età senza paura. Siamo fragili sempre, da genitori e da figli, quando bisogna ricostruire e quando non si sa nemmeno dove gettare le fondamenta. Ma c’è un momento preciso, quando ci buttiamo nel mondo, in cui siamo esposti e nudi, e il mondo non ci deve ferire. Per questo Lucia, che una notte di trent’anni fa si è salvata per un caso, adesso scruta con spavento il silenzio di sua figlia. Quella notte al Dente del Lupo c’erano tutti. I pastori dell’Appennino, i proprietari del campeggio, i cacciatori, i carabinieri. Tutti, tranne tre ragazze che non c’erano più. Amanda prende per un soffio uno degli ultimi treni e torna a casa, in quel paese vicino a Pescara da cui era scappata di corsa. A sua madre basta uno sguardo per capire che qualcosa in lei si è spento: i primi tempi a Milano aveva le luci della città negli occhi, ora sembra che desideri soltanto scomparire, si chiude in camera e non parla quasi. Lucia vorrebbe tenerla al riparo da tutto, anche a costo di soffocarla, ma c’è un segreto che non può nasconderle. Sotto il Dente del Lupo, su un terreno che appartiene alla loro famiglia e adesso fa gola agli speculatori edilizi, si vedono ancora i resti di un campeggio dove tanti anni prima è successo un fatto terribile. A volte il tempo decide di tornare indietro: sotto a quella montagna che Lucia ha sempre cercato di dimenticare, tra i pascoli e i boschi della sua età fragile, tutti i fili si tendono. Stretta fra il vecchio padre così radicato nella terra e questa figlia più cocciuta di lui, Lucia capisce che c’è una forza che la attraversa. Forse la nostra unica eredità sono le ferite. Con la sua scrittura scabra, vibratile e profonda, capace di farci sentire il peso di un’occhiata e il suono di una domanda senza risposta, Donatella Di Pietrantonio tocca in questo romanzo una tensione tutta nuova.
Non esiste un’età senza paura. Siamo fragili sempre, da genitori e da figli, quando bisogna ricostruire e quando non si sa nemmeno dove gettare le fondamenta. Ma c’è un momento preciso, quando ci buttiamo nel mondo, in cui siamo esposti e nudi, e il mondo non ci deve ferire. Per questo Lucia, che una notte di trent’anni fa si è salvata per un caso, adesso scruta con spavento il silenzio di sua figlia. Quella notte al Dente del Lupo c’erano tutti. I pastori dell’Appennino, i proprietari del campeggio, i cacciatori, i carabinieri. Tutti, tranne tre ragazze che non c’erano più. Amanda prende per un soffio uno degli ultimi treni e torna a casa, in quel paese vicino a Pescara da cui era scappata di corsa. A sua madre basta uno sguardo per capire che qualcosa in lei si è spento: i primi tempi a Milano aveva le luci della città negli occhi, ora sembra che desideri soltanto scomparire, si chiude in camera e non parla quasi. Lucia vorrebbe tenerla al riparo da tutto, anche a costo di soffocarla, ma c’è un segreto che non può nasconderle. Sotto il Dente del Lupo, su un terreno che appartiene alla loro famiglia e adesso fa gola agli speculatori edilizi, si vedono ancora i resti di un campeggio dove tanti anni prima è successo un fatto terribile. A volte il tempo decide di tornare indietro: sotto a quella montagna che Lucia ha sempre cercato di dimenticare, tra i pascoli e i boschi della sua età fragile, tutti i fili si tendono. Stretta fra il vecchio padre così radicato nella terra e questa figlia più cocciuta di lui, Lucia capisce che c’è una forza che la attraversa. Forse la nostra unica eredità sono le ferite. Con la sua scrittura scabra, vibratile e profonda, capace di farci sentire il peso di un’occhiata e il suono di una domanda senza risposta, Donatella Di Pietrantonio tocca in questo romanzo una tensione tutta nuova.
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Libro molto interessante riguardante i gufi.
Michele.
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Clarice Lispector, Vicino al cuore selvaggio, Adelphi
(Mi fa compagnia nella lettura di questo libro una Aurora 88 big rebbi lunghi EF Millerighe)
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Sono a circa 1/3 di questo, che ovviamente vi consiglio caldamente di leggere:
Ottobre 1945. L'anno scolastico inizia in ritardo. È il primo dell'Italia liberata e non è semplice ripartire dalle macerie. La maestra Gilla guarda con angoscia quei muri che fino a poche settimane prima alloggiavano nazisti. È arrivata a Borgo di Dentro per sfuggire alle bombe che martoriavano la sua Genova, e come tanti giovani ha combattuto e ha rischiato la vita, scommettendo sulla costruzione di un futuro migliore che altri compagni non vedranno. Ma ora non vuole pensare a quello che la guerra le ha tolto, e le ventitré allieve di quinta elementare che ha di fronte sono una ragione sufficiente per tenere a bada la tristezza. Al suono della campanella è rimasto un posto vuoto, in prima fila. La bambina a cui è destinato raggiunge la classe poco dopo, accompagnata dalla bidella e da un biglietto del direttore. Si chiama Francesca e arriva dal vicino orfanotrofio. È preparata, diligente, ma non parla e Gilla nei suoi occhi riconosce subito la tristezza di chi si trova solo in un mondo cui non appartiene. Per entrambe c'è stato un prima e c'è stato un dopo. Ma se Gilla del passato vorrebbe liberarsi, per Francesca è l'unico posto in cui desidera tornare. Perché lì sta la sua famiglia, quella per cui il suo nome era Ester e con cui viveva a Casale Monferrato, prima che i "provvedimenti per la difesa della razza" impedissero a suo padre di insegnare, a suo nonno di vendere stoffe, a lei e sua madre di condurre una vita degna di questo nome. L'ultimo ricordo felice di Ester è una gita sul Po. Dopo, solo la colpa di essere ebrei. Ora dei genitori non sa più nulla, e la speranza che tornino a prenderla, come le hanno promesso, l'abbandona un po' ogni giorno. Gilla ha intuito cosa nasconde l'ostinato silenzio della bambina, e sa che per riparare ciò che si è rotto servono calma e pazienza. Le stesse che usa con un vecchio planetario meccanico che la sera aggiusta sul tavolo della cucina, formulando lezioni immaginarie per le sue allieve. Con la grazia di chi sa di maneggiare esistenze fragili e preziose e il rigore di un meticoloso lavoro di ricerca, Raffaella Romagnolo scrive un romanzo di dolore e rinascita su un momento storico da cui ancora oggi è impossibile distogliere lo sguardo.
Ottobre 1945. L'anno scolastico inizia in ritardo. È il primo dell'Italia liberata e non è semplice ripartire dalle macerie. La maestra Gilla guarda con angoscia quei muri che fino a poche settimane prima alloggiavano nazisti. È arrivata a Borgo di Dentro per sfuggire alle bombe che martoriavano la sua Genova, e come tanti giovani ha combattuto e ha rischiato la vita, scommettendo sulla costruzione di un futuro migliore che altri compagni non vedranno. Ma ora non vuole pensare a quello che la guerra le ha tolto, e le ventitré allieve di quinta elementare che ha di fronte sono una ragione sufficiente per tenere a bada la tristezza. Al suono della campanella è rimasto un posto vuoto, in prima fila. La bambina a cui è destinato raggiunge la classe poco dopo, accompagnata dalla bidella e da un biglietto del direttore. Si chiama Francesca e arriva dal vicino orfanotrofio. È preparata, diligente, ma non parla e Gilla nei suoi occhi riconosce subito la tristezza di chi si trova solo in un mondo cui non appartiene. Per entrambe c'è stato un prima e c'è stato un dopo. Ma se Gilla del passato vorrebbe liberarsi, per Francesca è l'unico posto in cui desidera tornare. Perché lì sta la sua famiglia, quella per cui il suo nome era Ester e con cui viveva a Casale Monferrato, prima che i "provvedimenti per la difesa della razza" impedissero a suo padre di insegnare, a suo nonno di vendere stoffe, a lei e sua madre di condurre una vita degna di questo nome. L'ultimo ricordo felice di Ester è una gita sul Po. Dopo, solo la colpa di essere ebrei. Ora dei genitori non sa più nulla, e la speranza che tornino a prenderla, come le hanno promesso, l'abbandona un po' ogni giorno. Gilla ha intuito cosa nasconde l'ostinato silenzio della bambina, e sa che per riparare ciò che si è rotto servono calma e pazienza. Le stesse che usa con un vecchio planetario meccanico che la sera aggiusta sul tavolo della cucina, formulando lezioni immaginarie per le sue allieve. Con la grazia di chi sa di maneggiare esistenze fragili e preziose e il rigore di un meticoloso lavoro di ricerca, Raffaella Romagnolo scrive un romanzo di dolore e rinascita su un momento storico da cui ancora oggi è impossibile distogliere lo sguardo.
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Lo dico da tempo, è una scrittrice di altissimo livello. Leggi anche le sue opere precedenti, merita davveroMatteoQ ha scritto: ↑mercoledì 26 marzo 2025, 7:31 Letto in un fine settimana piovoso, l'ho appena finito e mi è piaciuto molto, quindi ve lo consiglio.
Di Pietrantonio Donatella (2024) - L'età fragile - Einaudi.jpg
Non esiste un’età senza paura. Siamo fragili sempre, da genitori e da figli, quando bisogna ricostruire e quando non si sa nemmeno dove gettare le fondamenta. Ma c’è un momento preciso, quando ci buttiamo nel mondo, in cui siamo esposti e nudi, e il mondo non ci deve ferire. Per questo Lucia, che una notte di trent’anni fa si è salvata per un caso, adesso scruta con spavento il silenzio di sua figlia. Quella notte al Dente del Lupo c’erano tutti. I pastori dell’Appennino, i proprietari del campeggio, i cacciatori, i carabinieri. Tutti, tranne tre ragazze che non c’erano più. Amanda prende per un soffio uno degli ultimi treni e torna a casa, in quel paese vicino a Pescara da cui era scappata di corsa. A sua madre basta uno sguardo per capire che qualcosa in lei si è spento: i primi tempi a Milano aveva le luci della città negli occhi, ora sembra che desideri soltanto scomparire, si chiude in camera e non parla quasi. Lucia vorrebbe tenerla al riparo da tutto, anche a costo di soffocarla, ma c’è un segreto che non può nasconderle. Sotto il Dente del Lupo, su un terreno che appartiene alla loro famiglia e adesso fa gola agli speculatori edilizi, si vedono ancora i resti di un campeggio dove tanti anni prima è successo un fatto terribile. A volte il tempo decide di tornare indietro: sotto a quella montagna che Lucia ha sempre cercato di dimenticare, tra i pascoli e i boschi della sua età fragile, tutti i fili si tendono. Stretta fra il vecchio padre così radicato nella terra e questa figlia più cocciuta di lui, Lucia capisce che c’è una forza che la attraversa. Forse la nostra unica eredità sono le ferite. Con la sua scrittura scabra, vibratile e profonda, capace di farci sentire il peso di un’occhiata e il suono di una domanda senza risposta, Donatella Di Pietrantonio tocca in questo romanzo una tensione tutta nuova.
