Fa senz’altro gioco il prezzo, intorno ai 60 euro, che per una penna a stantuffo è senz’altro il più basso della categoria. Ma se fosse stata solo una questione di prezzo non sarebbe stato sufficiente. La penna infatti pur non avendo linee particolarmente innovative o rivoluzionarie, ha comunque un’estetica gradevole, ma soprattutto presenta una qualità costruttiva veramente impeccabile.
La Diamond 540 è l’evoluzione della precedente 530 che già aveva ottenuto un ottimo successo, è praticamente identica, con piccoli miglioramenti (la prima versione aveva dei difetti di giovinezza nello stantuffo e nei materiali, curati comunque a spese del produttore) frutto dell’esperienza maturata.
Si tratta di una penna di grandi dimensioni (di poco inferiori a quelle di una Pelilkan M1000) con un serbatoio molto capiente, sia per il notevole diametro del corpo, che per l’estensione del pistone. Inoltre si può ottenere un caricamento ancora più completo grazie al calamaio fornito a parte, che consente di caricare direttamente la penna dal corpo svitando la sezione ed evitando il solito problema (e relativo spreco) di dover ripulire il pennino dagli eccessi di inchiostro.
Pur non essendo realizzata in fantomatiche resine prezione (che sempre plastica sono) ma in economico ma robustissimo policarbonato, le finiture sono ineccepibili: la penna da una impressione di grande solidità, anche per gli spessori dei materiali, che si trovano solo su penne di una fascia di prezzo molto più alta. Una solidità poi confermata dai fatti: neanche un graffio nonostante l’abbia scaraventata sul pavimento…
Dal punto di vista stilistico la penna riprende delle linee tradizionali, abbastanza simili a quelle di una Pelikan della serie MX00, ma ho trovato inoltre molto interessante la realizzazione del corpo con sfaccettature romboidali che pur mantenendo una sezione sostanzialmente cilindrica danno una impressione di curvatura delle linee, oltre all’evitare lo scivolamento della penna dalla scrivania.
La scelta della plastica trasparente può piacere o meno (ma sono disponibili anche versioni colorate più opache) ma trovo comunque valida l’idea di mostrare gli interni di una penna che può essere smontata completamente grazie anche alla chiavetta allegata (si trova all’intero del rientro della scatola). Un approccio questo molto interessante che consente di provvedere da soli, con un minimo di pratica, alla manutenzione completa della penna senza dover passare da complessi (e spesso anche costosi) centri di assistenza.
Ma i vantaggi di costo basso e buona qualità costruttiva significano poco se manca la qualità principale di una penna, quella nella scrittura. Ma anche su questo aspetto la TWSBI 540 si comporta ottimamente. Ho comprato un extrafine, che pur non essendo ipersottile come potrebbe essere un Sailor, si comporta comunque molto bene, fornendo un tratto sottile con un flusso equilibrato ed una scorrevolezza ottima. Inoltre in quasi una settimana di utilizzo la penna si è sempre dimostrata pronta a scrivere, senza nessuna incertezza nell’avvio.
Riprendo ancora una volta il rituale dei voti, sottolineando come sempre la natura forzatamente soggettiva degli stessi, e la necessità di non tenerne conto più di tanto:
- aspetto: 8.0 (interessante il corpo sfaccettato)
- scrittura: 9.0 (comoda, scorrevole e fine per davvero)
- sistema di caricamento: 9.0 (uno stantuffo con grande capacità)
- qualità/prezzo: 10.0 (qualità da penne di fascia alta su una economica)
Si ringraziano gli amici della Casa della Stilografica, oltre che per la solita disponibilità e gentilezza, per aver fornito le fotografie usate nell’articolo.
PS
Si ringrazia Filippo per avermi fatto notare l'errore marchiano del titolo (è TWSBI non TWISBI... alle volte sarebbe meglio affidarsi al taglia e incolla). Ho spostato l'argomento e fatto qualche correzione per evitare che le eventuali indicizzazioni vengano sbagliate. Mi scuso con tutti per la dabbenaggine, soprattutto col produttore, di cui ho martoriato il nome.