Siamo bell' 'e fritti !! (sulla scrittura manuale parte 2)

Per fare due chiacchiere insieme su argomenti vari
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Daniele
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Messaggio da Daniele »

Ecco un articolo preso dal Venerdi di Repubblica.
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Daniele

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varyar
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Messaggio da varyar »

Se la chiedevano a me la correlazione tra le aree cerebrali, si potevano risparmiare 5 anni di ricerca :D
Scherzi a parte (io ho solo incrociato le idee della Montessori, che era medico, con alcune semplici osservazioni fatte strimpellando la chitarra e provando a mangiare con le bacchette), un altro fattore importante secondo me sta nel meccanismo di astrazione grafica-concettuale alla base del sistema alfabetico. Mentre lingue che usano sistemi ideografici complessi (anche se spesso hanno valori fonetici) come cinese e giapponese, dovrebbero attivare massicciamente anche l'emisfero destro, rendendo possibile una modalità di apprendimento 'sinestetica' che è richiamata nel trafiletto, dove si accenna all'uso di frecce e altri simboli grafici.

Ora, io penso, questi signori che denigrano tanto il corsivo, da piccoli hanno fatto aste e cerchietti, e magari hanno studiato il Palmer. Ma per le nuove generazioni, partire direttamente rinnegando la scrittura a mano, siamo sicuri che li renderà automaticamente in grado di gestire il mondo digitale? Come ho avuto modo di esprimere altrove, io personalmente sono contrario a qualsiasi forma di luddismo, ma le cose andrebbero sempre fatte "cum grano salis".
L'homo sapiens è un primate, cioé una specie di scimmia: non è che il tablet può trasformarlo in androide nel corso di un paio di generazioni.

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Alessandro
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Messaggio da Irishtales »

Il corsivo purtroppo si deteriora con incredibile frequenza nel corso degli anni. Se osservate la grafia di chi lega le lettere e di chi tende a non usare legature, noterete che la leggibilità (caratteristica fondamentale e basilare della grafia) tende ad essere migliore nei soggetti che non effettuano legature.
Ma perché la grafia corsiva tende a degenerare più facilmente? La risposta è insita nella sua caratteristica prima, la rapidità. Le legature paradossalmente aiutano a scrivere più rapidamente ma proprio l'eccessiva velocità, richiesta sovente nella trascrizione del parlato (appunti alle lezioni, alle conferenze, alle riunioni, etc.) determinano con il tempo il degrado della leggibilità. Scrivere più lentamente e con più cura aiuta a mantenere una bella grafia e una buona leggibilità. Del resto è inutile saper scrivere in corsivo se poi ciò che si scrive è un'accozzaglia incomprensibile di segni distorti e sgraziati. Meglio curare un solo tipo di grafia con meno legature, che obbliga a soffermarsi nel disegno di ogni singola lettera senza storpiature. Chiaramente è una provocazione la mia; ma quando penso che la nostra scuola ha abbandonato lo studio della calligrafia ormai da decenni, sorrido all'idea che in altre parti del mondo si discuta tanto, scomodando la scienza (da una parte e dall'altra), chiedendosi se sia più giusto insegnare solo il manuscript o sia il manuscript che il corsivo.
Dei miei nipoti in età scolare, non ce n'è uno che scriva come l'altro. Magari dovremmo cominciare a guardare in casa nostra: cosa si insegna alle elementari? Quanti tipi di grafia? Avete notato come molti bambini impugnino la penna come fosse un pugnale, senza che nessuno gli insegni a tenere almeno correttamente in mano una penna? Alcuni scrivono con le dita talmente vicine alla punta della penna, da non riuscire nemmeno a vedere bene ciò che scrivono. Per non parlare della postura, inevitabilmente condizionata dal tipo di scrittura prodotta. Il corsivo tende a far inclinare il foglio, cosa non proprio salutare per la colonna vertebrale.
Sono una fan del corsivo. Ma non della scoliosi. Fretta e bella scrittura non vanno d'accordo. Trovare un equilibrio è la risposta. Ma non è facile, in un'epoca che va di corsa e che lascia indietro inevitabilmente chi non è al passo con i tempi (uso della tastiera e in generale del computer).
Ho trovato illuminante e ironico, sagace e intelligente questo articolo di Philip Ball:
https://www.prospectmagazine.co.uk/ball ... xBeIfl5OaN
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Daniela
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Messaggio da varyar »

Chiaramente non mi sognerei mai di difendere, come l'ultimo giapponese in mezzo alla giungla, il corsivo 'per sé', ma la scrittura a mano, che qualche bello spirito mi sembra vorrebbe sostituire 'totalmente' con tastiera e touch-screen.

Daniela aveva spiegato bene il senso del dibattito, e l'articolo linkato lo chiarisce ulteriormente: negli USA insegnano a scuola due sistemi di scrittura, il corsivo e il manuscript, quindi ci si è interrogati sull'utilità di insegnare obbligatoriamente il corsivo, visto che non avrebbe particolari vantaggi, in termini di velocità e chiarezza rispetto all'altro modo, che invece appare più coerente con i sistemi di scrittura informatici.

Io ho un amico che fin dall'asilo era predestinato alla carriera di artista figurativo (invece poi ha fatto tutt'altro), che ha una scrittura manuscript bellissima e velocissima, chiara e pulita.
Io stesso quando devo fare schemi o schedature varie per lavoro, uso questa forma di scrittura.

Fin qui tutto bene, quello che mi preoccupa è che molti ragazzi scrivono solo le lettere maiuscole. E questo francamente mi sembra un tornare indietro al periodo pre-ellenistico.

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Alessandro
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Messaggio da Ottorino »

Scusate l'ignoranza. Cos'e' il manuscript ?
C'è rimedio ? Perché preoccuparsi ? Non c'è rimedio ? Perché preoccuparsi ?
Un bel panorama si vede dopo una bella salita
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varyar
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Messaggio da varyar »

Ottorino ha scritto:Scusate l'ignoranza. Cos'e' il manuscript ?
http://www.merriam-webster.com/dictiona ... %20writing

io fino a stamattina lo chiamavo 'stampatello corsivo' ;)

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Alessandro
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Messaggio da Irishtales »

Alessandro, mi hai battuto sul tempo :)

La differenza sostanziale è nelle legature. Inserisco il collegamento ad un sito di riferimento per gli insegnati delle scuole primarie americane. Non esiste un solo manuscript - come non esiste un solo corsivo - da un punto di vista di "stile"; la differenza sostanziale, è appunto nelle legature. Ridurle significa (forse) scrivere più lentamente, ma nel tempo mantenere più leggibile la grafia:
http://educationalfontware.com/
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Messaggio da stellakometa »

Dal sito dell'associazione calligrafica italiana un opuscolo sulla scrittura a scuola. Ioho fatto il corso peri docenti. Molto interessante
www.calligrafia.org
sulla homepage leggetelo
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Messaggio da Irishtales »

Mi hai fatto ricordare che quella mente illuminata di Umberto Eco, diversi anni fa (1986) scrisse la prefazione ad un manuale di Claudio Pozzoli "Come scrivere una tesi di laurea con il computer". Si può consultare online qui:
books.google.it/books?id=ZD46d3l1ac8C&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false
Come sempre Eco è lungimirante, intelligente e in questo caso molto ironico e divertente, ma vale la pena di leggere anche la premessa dell'autore, che racconta quale sia stato il rapporto con la scrittura a mano, a macchina e al computer di alcuni noti scrittori.
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Messaggio da Max1966 »

Lo riprendo per riportare questo

Per molti pedagoghi e psicologi dell'età evolutiva imparare a collegare le lettere consente ai bambini di sviluppare meglio la sequenzialità dei pensieri grazie al fatto che devono realizzare una sequenzialità di segni grafici. Inoltre il corsivo, con il suo scorrimento continuo, ha una valenza profonda nell'acquisizione di competenze basilari di ordine cognitivo e psicomotorio e di abilità manuali e di pensiero. Non staccare mai la penna dal foglio obbliga a percepire l'insieme e il parziale in un unico momento e ad organizzare gli spazi. La grafia corsiva, inoltre, richiama meglio i percorsi spesso tortuosi del pensiero, anzi il suo flusso continuo, rende flessibili e originali. È personalizzabili e più intima rispetto allo stampatello.

Interessante non trovate?!
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Messaggio da Resvis71 »

Molto interessante Max.
Grazie :thumbup:
Massimiliano
cassullo

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Messaggio da cassullo »

Si afferra una biro, si firma un foglio, si traccia un appunto. Certi gesti si consumano in sé stessi, meccanici, troppo rapidi alle volte per restituire l’enorme fagotto del loro perché, della tradizione, storia o della profonda simbologia che li accompagna, che li associa a oggetti unici di un vissuto lontano.Se ci fermassimo a riflettere su quel troppo spesso scontato strumento di scrittura, se volessimo dedicare del tempo alla sua perduta poesia, se ne potrebbe parlare per ore. Cosa che noi abbiamo fatto. Sì perché la perfezione sta a volte nelle piccole cose, nel fermare il mondo per coglierne un particolare. Abbiamo scelto di parlare ed intenderci un po’ di calami e stilo, e l’abbiamo fatto con chi della passione per le penne ne ha fatto un lavoro ma, soprattutto, uno stile di vita. Così, percorrendo una via del centro storico, ci ritroviamo davanti ad una vetrina che piace per la sua semplicità. All’interno aspetta Maurizio Abrami, titolare con la moglie Maria Lazzaroni del negozio “Lazzaroni - gioielli per scrivere”. Sappia che ho con me una dozzinale biro recuperata, credo, in un qualche albergo l’estate scorsa “Beh, ogni penna o biro, persino ogni matita ha una sua storia: è dopotutto questo che le rende così speciali”. La sua è una passione che viene da lontano. “Credo che, come un po’ per tutti, il legame con gli strumenti di scrittura mi derivi dalla scuola, e conservi di essa tutta una varietà di sensazioni e ricordi. Rammento ad esempio che da piccolo era una gioia quando mio nonno, accompagnandomici, mi comprava delle matite: non erano intestate e cercavo di conservarle così il più a lungo possibile… C’era d’altronde un tempo più cura per i propri strumenti, e più rispetto. A scuola, poi, vigeva il gusto-dovere (oggigiorno spesso perduti) per il bel scrivere, per la buona grafia. S’imparava a tratteggiare lettere e parole al primo anno, fino in terza era d’obbligo la stilografica, e solo dopo era concesso di passare alla biro. Devo dire, tuttavia, che sono andato avanti a lungo ad usare le stilografiche ogni qualvolta dovevo volgere in bella copia un compito o stendere una lettera”. Perché proprio la stilografica, quando con le biro non ci si sporca o non s’imbratta il foglio? “Perché con la stilografica si scrive meglio, si è costretti a riflettere, a prestare attenzione a quello che si fa ad ogni tratto. Con una stilografica in pugno il fluire di ciò che hai dentro si riversa sulla pagina un po’ alla volta, lento, con più coscienza e cura di quanto non faresti con la biro. Una calligrafia più delicata aiuta poi a contestualizzare il momento, ti ricorda che scrivere è una forma di rispetto offerta al futuro lettore. In ultimo ogni stilografica si modella ed adatta alla mano della singola persona: è come se ci fraternizzasse, e come ritrovasse un amico ogni qual volta viene estratta dalla custodia. Aggiungiamo che non si rischia più di ferirsi con i pennini appuntiti, che le stilografiche in commercio permettono in un attimo di cambiare le cartucce e che sono più ecologiche: davvero non capisco perché nelle scuole non s’insista per utilizzarle”. Forse perché restituiscono l’idea di un oggetto-dono per cresima o laurea, da conservare poi in un cassetto, troppo costoso per portarselo dietro tutti i giorni. “Ma non deve per forza essere così: ci sono stilografiche di tutti i prezzi per tutti i gusti. Io ad esempio amo tenerne in tasca più di una, e le cambio in base al periodo, alle necessità o al gusto del momento. Sono amiche che ho imparato a conosce e trattare con cura. Mi piace l’idea di mantenere in buona forma e funzione quella che ho ereditato da mio padre così come il fatto di affidarle un giorno a mio figlio. E pensate al fatto di scegliere una penna per sé, di studiare, indagare e recuperare un piccolo pezzo d’arte e storia, magari degli anni ’30, in ebanite, oppure individuare fra mille modelli di recentissimo design, quella che proprio sembra raccontare un po’ del vostro modo d’essere. Al contrario di una biro usa-e-getta una stilografica, poi, può essere personalizzata, tarata e scelta in base alla mano di chi dovrà impugnarla o all’uso che questi ne farà… sì perché una sua prerogativa è proprio questa: calibrare il pennino sul ritmo di scrittura, sull’inclinazione e sul peso della mano in modo esclusivo e mirato. Inoltre, Quando ad esempio mi capita che un cliente chieda una penna per fare un presente, cerco sempre di farmi descrivere al meglio la personalità del destinatario, chi è, cosa fa, se è una persona introversa o allegra e socievole, se è riflessiva o dinamica: così facendo non si dona solo un oggetto, ma un simbolo di ciò che si pensa e si desidera per lui! Lei ad esempio… provi un po’ a continuare a prendere appunti con questa vecchia stilografica”. Certo, sentendola parlare, fa un certo effetto e davvero l’inchiostro scorre delicato sul foglio. “Mi piace pensare che l’inchiostro si riversi, da liquido bruno conservato in una boccetta, all’interno di una penna (tante sono le modalità di aspirarlo), per quindi passare al foglio (anche con un po’ di mistero per come possa magicamente scrivere e non macchiare), commisto delle sensazioni di chi scrive, portando con sé qualcosa in più che non un semplice gesto affrettato e meccanico… provi a rifletterci e vedrà che è così”. Comincio a capire certi collezionisti. Ma è ancora un mondo così frequentato e ricercato quello degli appassionati?“Durante il boom consumistico degli anni ’80 le case hanno, per rispondere alla crescente richiesta prodotto una miriade di nuovi modelli: inutile dire che a maggiore diffusione perde anche significato il concetto stesso di “tiratura limitata”. Ora che siamo in un periodo di crisi sono rimasti i “veri” appassionati dell’oggetto che, finita la “moda” di acquistare “tirature limitate” tout court, continuano la ricerca di pezzi più o meno rari o particolari scegliendo le Penne che piacciono. Il bello di oggetti del genere, poi, sta proprio nello specifico stile che ogni casa ha saputo nel tempo sviluppare e mantenere. Con la massimizzazione si stava rischiando di perderlo. Oggi, complice la crisi, la gente sceglie con più attenzione, fa acquisti oculati e ben pensati. Un problema può ora essere semmai rappresentato da internet: ben vengano ad esempio forum e blog, ma il rischio di fregature è sempre dietro l’angolo. Magari su internet si possono fare buoni acquisti, ma raramente i tanto sbandierati buoni affari! Quello che spesso dico ai miei clienti è di non farsi problemi e chiedere senza remore un suggerimento, di portarmi pure una stilografica di cui non sanno definire il valore o che devono decidere se riparare o meno. Con la penna fisicamente in mano posso consigliare se ne vale la pena e, nel caso, come meglio procedere”. Oggi può rappresentare un investimento acquistare penne stilografiche? “Credo che la cosa importante sia contornarsi di oggetti che piacciano, al di là del valore. Se poi vengono tenuti bene e sono pezzi di buon qualità, che raccontano un passato di grande artigianato, arte o storia, anche il valore mantenuto può essere importante”. Chi viene da lei in cerca di stilografiche particolari si affida più al gusto o al brand? “Soprattutto i giovani sono da principio condizionati dalle marche più celebri, come Montblanc o Cartier, ma cerco ogni volta di far scoprire loro anche l’universo italiano: abbiamo ditte storiche come Aurora, Montegrappa, Omas, Tibaldi, Columbus o emergenti come: Delta, Visconti, Marlen”. E come sono viste all’estero? “Il genio italiano è apprezzato e persino un po’ invidiato: piace la nostra capacità di creare, di dare spazio all’arte e non vergognarci di lasciar fluire la fantasia. Parliamo d’altronde di prodotti che, in controtendenza rispetto alle comunicazioni più fredde e distaccate di web e smartphone, sanno recuperare il valore sociale del bello e dell’utile, ma anche raccontare (e in questo mi piace pensare che gli italiani siano maestri) tutta la passione e l’emozione di cui sanno farsi testimoni e memoria”. Guardandomi intorno mi sembra di trovarmi in una sorta di museo della stilografica e se ho ben capito è una collezione, la sua, che ammicca anche a Brescia. “Credo fortemente che le passioni vadano esportate ed offerte il più possibile a chi possa trarne ispirazione e farne tesoro. Per questo, oltre che collezionare, mi piace raccontare il passato e il presente della stilografica. Quando riesco organizzo incontri, mostre e conferenze. Di recente ho tenuto un ciclo di lezioni alla facoltà d’ingegneria dove ho potuto incontrare i tecnici e i designer di domani. Insieme abbiamo immaginato nuovi modelli di penna. Nel mio piccolo, poi, amo disegnare stilografiche particolari: ho creato alcuni esemplari che celebrassero la Mille Miglia richiamandone le auto per stile, resa coloristica e materiali. “Brixia fidelis”, “Città Di Brescia 2005” e “Città di Brescia 2007” sono stilografiche che ho disegnato per la nostra città. In cantiere ho ora qualcosa di davvero originale, ma mi scuserete se non ne parlo: non sarebbe una sorpresa!” Ci dica almeno questo: ho in mano una buona stilografica se… “Se il pennino è in oro a 14, 18 o 21 carati. Questo perché l’oro ha buona flessibilità, un’ottima memoria di forma e resiste all’acidità dell’inchiostro. Mi riferisco naturalmente all’oro giallo, poi la superficie può essere decorata con altri materiali… Importante è l’ergonomia: stiamo d’altronde parlando di oggetti belli ma anche da usare, ed ogni mano deve trovare quello che meglio le si adatta. Il corpo infine dev’essere di resina nobile come: celluloide, ebanite o i nuovi moderni acrilici magari prodotto con cura dalle mani di un capace tornista e in grado di resistere nel tempo tanto per tenuta e forma che dal punto di vista dei colori”. E per conservare al meglio la penna che ci hanno donato o abbiamo scelto? “Per conservare una stilografica bisogna usarla, tenerla pulita, evitare che l’inchiostro si secchi. Se prevediamo di lasciarla ferma a lungo meglio allora svuotarla e metterla al sicuro da polvere o fonti di calore. Se è fatta di ebanite o celluloide è infine buona norma tenerla lontana dalla luce diretta”. La ringrazio: questa chiacchierata mi ha davvero emozionato ed ho imparato molto. A presto e a rivederla, sig. Abrami. “E’ stato un piacere, quando vuole! Ah, aspetti… la mia penna…e dimenticavo: “Biro” è, nel gergo comune, il sinonimo di “penna sfera” e deriva dal nome dato allo strumento dall’inventore: József László Bíró che lo chiamò appunto:”Birome”. Ma le racconterò questa storia un’altra volta”.  
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Messaggio da Resvis71 »

Grazie Costantino.
Massimiliano
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Messaggio da Papo56 »

È sbagliato!
È sbagliato dire, o meglio fare: "Si afferra una biro".
È una cosa da non fare, è un gesto sacrilego!
Le biro sono strumenti del Demonio, da mettere al bando. :evil:
Quando ne tocco inavvertitamente una, mi si ustiona la mano!

A parte gli scerzi, caro Costantino, non so quanti leggeranno fino in fondo il tuo messaggio, perchè è lunghetto, ma spero lo facciano in molti, perchè è molto interessante, istruttivo ed assolutamente condivisibile.
Complimenti :thumbup: :clap:
... via... tutto il resto è già poesia
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Messaggio da Resvis71 »

Papo56 ha scritto:È sbagliato!
È sbagliato dire, o meglio fare: "Si afferra una biro".
È una cosa da non fare, è un gesto sacrilego!
Le biro sono strumenti del Demonio, da mettere al bando. :evil:
Quando ne tocco inavvertitamente una, mi si ustiona la mano!

A parte gli scerzi, caro Costantino, non so quanti leggeranno fino in fondo il tuo messaggio, perchè è lunghetto, ma spero lo facciano in molti, perchè è molto interessante, istruttivo ed assolutamente condivisibile.
Complimenti :thumbup: :clap:
Concordo.Davvero bello...
Massimiliano
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