Per una volta voliamo alto (si fa per dire!); prendendo spunto da questo brano di Rosemary Sassoon (chi vuole notizie bibliografiche può fare un giro su google):
Quando studiavo negli anni ’40, studiavo per diventare uno scriba. Quello che imparavo veniva chiamato Lettering (scrittura, n.d.t). Il libro di Edward Johnston, che può essere considerato l’emblema della rinascita della scrittura in Britannia, non usa la parola calligrafia nel titolo: si chiama infatti “Writing, Illuminating and Lettering”. Il mio stesso insegnante, M.C. Oliver, che sicuramente si considerava un artigiano, scrisse un capitolo del libro intitolato “Fifteen Craftsmen on their Craft” (1945) nel quale illustrava i principi essenziali di ciò che chiamava scrittura formale.
Alfred Fairbank, altra autorità in materia, scrisse un contributo nella pubblicazione “Lettering of Today” (1937) intitolandolo Calligraphy che iniziava con “La calligrafia è l’espressione artistica dello scrivere a mano………. e la si può trovare nel prezioso manoscritto antico come su una busta recuperata dal cestino della carta straccia.”
In seguito la terminologia è mutata, distinguendo il termine calligrafia da scrittura (lettering); questo probabilmente è un effetto della annosa disputa fra coloro che si reputano degli artisti e stimano gli artigiani come persone di second’ordine, e coloro che si ritengono degli artigiani e sono fieri di esserlo.
Vogliamo aprire un dibattito sul tema?
Personalmente mi dichiaro apprendista artigiano: e voi?
Mostra Scambio - Pen Show - di Firenze
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Artisti o artigiani?
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Io credo che esistano degli artigiani con animo da artista
stefano

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Artisti o artigiani?
Bella discussione Alessandro !!
Il mettere paletti è una cosa tipicamente umana. Abbiamo bisogno della classificazione per rassicurarci ??
Preferisco non farlo e considerare la riga
artista ---------------------------- artigiano
come una cosa continua.
Ai due estremi ci sono innegabilmente due cose diverse, ma nel mezzo diventa difficile giudicare e mettere "il" paletto.
Ho amici artigiani (nel senso comune accettato e usato da tutti) che talvolta o spesso o sempre hanno dei modi di risolvere problemi tecnici o estetici in cui si vede chiaramente l'estro creativo. E altri che invece non ce l'hanno, oppure ce lo hanno meno spesso.
Io mi sento artigiano per il 90 % del tempo e delle volte. Qualche sprazzo "artistico" me lo sento, ma è raro.
PS
"artistico" per me è qualsiasi cosa che sia creativa.
Anche un programma di computer puo' essere artistico o la riparazione di un motore.
Non so cosa sia, non lo so definire, ma si "vede" e si "sente".
Il mettere paletti è una cosa tipicamente umana. Abbiamo bisogno della classificazione per rassicurarci ??
Preferisco non farlo e considerare la riga
artista ---------------------------- artigiano
come una cosa continua.
Ai due estremi ci sono innegabilmente due cose diverse, ma nel mezzo diventa difficile giudicare e mettere "il" paletto.
Ho amici artigiani (nel senso comune accettato e usato da tutti) che talvolta o spesso o sempre hanno dei modi di risolvere problemi tecnici o estetici in cui si vede chiaramente l'estro creativo. E altri che invece non ce l'hanno, oppure ce lo hanno meno spesso.
Io mi sento artigiano per il 90 % del tempo e delle volte. Qualche sprazzo "artistico" me lo sento, ma è raro.
PS
"artistico" per me è qualsiasi cosa che sia creativa.
Anche un programma di computer puo' essere artistico o la riparazione di un motore.
Non so cosa sia, non lo so definire, ma si "vede" e si "sente".
C'è rimedio ? Perché preoccuparsi ? Non c'è rimedio ? Perché preoccuparsi ?
Un bel panorama si vede dopo una bella salita
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Alessandro! Che bell'argomeno hai sollevato!
E difficile. Ci si immagina quasi naturalmente questa contrapposizione, in molti campi. Moltissimi. Dove finisce la creatività? Dove inizia la “maniera” ? E non ha forse anche questo quasi religioso tributo, un suo spirito proprio e una sua propria personalità, tali da elevarlo esso stesso, ad arte?
Un calligrafo che dedichi anni di studio e di lavoro agli stili classici, che diventi così attento osservatore ed esperto nell'uso degli strumenti e dei materiali da poter riprodurre perfettamente una miniatura altomedievale, è un artigiano o un artista? La sua opera ha in qualche misura una dignità sua, un suo diritto d'essere anche opera d'arte e non solo copia?
Per stabilire dove collocare il guado, oltre il quale l'artigiano è eletto ad artista, bisognerebbe tracciare i confini. Mettere delle regole. Ma è impossibile. Così come la voce di un impeccabile tenore è una voce d'artista, mentre dà vita alla sua unica e personale interpretazione di un'opera che mille altre voci mai allo stesso modo hanno cantato, così è arte la copia, benchè apparentemente perfetta, di un famoso dipinto. Perfettamente simile, perchè identica non sarà mai. E in quello spiraglio dato dalle differenze, sta un modo di reinterpretare qualcosa che tanto si ama o non sarebbe possibile così a fondo studiarlo da cercare di farlo rivivere attraverso le proprie mani, il proprio tocco. E' un prestito generoso, che sacrifica quasi ogni individualismo, che quasi annulla ogni istinto, che si fonda sul controllo pressochè totale di ogni singolo aspetto, come la mano del calligrafo che ripercorre e disegna le linee di uno stile con precisione e dedizione, studiando sempre, senza mai stancarsi di osservare e aspirando soltanto ad imparare ad imitare, perchè in quello consiste la sua Arte, che poi infine, non sarà mai identica a quella di un altro.
E' un tema affascinante, mi ricordo ancora le lezioni del mio professore, all'università, sul movimento di Pugin, Ruskin e William Morris: Arts and Crafts. L'artigianato veniva allora considerato come incarnazione dell'arte. Da difendere contro l'incedere dell'omologazione industriale, dell'impoverimento culturale dovuto alla serialità della produzione che privava l'oggetto del suo diritto di essere...unico.
Non voglio dilungarmi oltre, anche perchè credo sia ormai palese qual'è il mo pensiero in merito.
Non c'è differenza, ai miei occhi.
Un artigiano che padroneggi gli strumenti del proprio mestiere è senz'altro un artista, e tanto più ne ha padronanza, quanto più ha diritto ad essere considerata, la sua, Arte. Che le sue capacità siano tali poi da riprodurre pressochè fedelmente un'opera d'altri o una sua stessa creazione, significa che è artista ancora più esperto perchè va oltre la creatività, la supera, non solo raggiunge l'arte ma riesce a moltiplicarla: così il calligrafo esperto.
Per concludere, rispondo alla tua domanda...
La calligrafia come il disegno "artistico", non sono il mio lavoro, non posso purtroppo dedicare al loro apprendimento molto tempo e quindi le mie ambizioni sono finalizzate al...puro divertimento. L'artista invece, soffre. Soffre perchè ama e amare fa sempre un po' soffrire. Io invece non soffro affatto, e se accetto di amare e soffrire lo faccio nel lavoro, laddove però (chi si occupa di restauro lo sa bene) esistono solo umili “servi della storia” e nessun artista.
Quindi direi che non sono nemmeno apprendista. E questo stato mi piace perchè osservare, scoprire e imparare sono il fine stesso...della (mia) vita.
E difficile. Ci si immagina quasi naturalmente questa contrapposizione, in molti campi. Moltissimi. Dove finisce la creatività? Dove inizia la “maniera” ? E non ha forse anche questo quasi religioso tributo, un suo spirito proprio e una sua propria personalità, tali da elevarlo esso stesso, ad arte?
Un calligrafo che dedichi anni di studio e di lavoro agli stili classici, che diventi così attento osservatore ed esperto nell'uso degli strumenti e dei materiali da poter riprodurre perfettamente una miniatura altomedievale, è un artigiano o un artista? La sua opera ha in qualche misura una dignità sua, un suo diritto d'essere anche opera d'arte e non solo copia?
Per stabilire dove collocare il guado, oltre il quale l'artigiano è eletto ad artista, bisognerebbe tracciare i confini. Mettere delle regole. Ma è impossibile. Così come la voce di un impeccabile tenore è una voce d'artista, mentre dà vita alla sua unica e personale interpretazione di un'opera che mille altre voci mai allo stesso modo hanno cantato, così è arte la copia, benchè apparentemente perfetta, di un famoso dipinto. Perfettamente simile, perchè identica non sarà mai. E in quello spiraglio dato dalle differenze, sta un modo di reinterpretare qualcosa che tanto si ama o non sarebbe possibile così a fondo studiarlo da cercare di farlo rivivere attraverso le proprie mani, il proprio tocco. E' un prestito generoso, che sacrifica quasi ogni individualismo, che quasi annulla ogni istinto, che si fonda sul controllo pressochè totale di ogni singolo aspetto, come la mano del calligrafo che ripercorre e disegna le linee di uno stile con precisione e dedizione, studiando sempre, senza mai stancarsi di osservare e aspirando soltanto ad imparare ad imitare, perchè in quello consiste la sua Arte, che poi infine, non sarà mai identica a quella di un altro.
E' un tema affascinante, mi ricordo ancora le lezioni del mio professore, all'università, sul movimento di Pugin, Ruskin e William Morris: Arts and Crafts. L'artigianato veniva allora considerato come incarnazione dell'arte. Da difendere contro l'incedere dell'omologazione industriale, dell'impoverimento culturale dovuto alla serialità della produzione che privava l'oggetto del suo diritto di essere...unico.
Non voglio dilungarmi oltre, anche perchè credo sia ormai palese qual'è il mo pensiero in merito.
Non c'è differenza, ai miei occhi.
Un artigiano che padroneggi gli strumenti del proprio mestiere è senz'altro un artista, e tanto più ne ha padronanza, quanto più ha diritto ad essere considerata, la sua, Arte. Che le sue capacità siano tali poi da riprodurre pressochè fedelmente un'opera d'altri o una sua stessa creazione, significa che è artista ancora più esperto perchè va oltre la creatività, la supera, non solo raggiunge l'arte ma riesce a moltiplicarla: così il calligrafo esperto.
Per concludere, rispondo alla tua domanda...
La calligrafia come il disegno "artistico", non sono il mio lavoro, non posso purtroppo dedicare al loro apprendimento molto tempo e quindi le mie ambizioni sono finalizzate al...puro divertimento. L'artista invece, soffre. Soffre perchè ama e amare fa sempre un po' soffrire. Io invece non soffro affatto, e se accetto di amare e soffrire lo faccio nel lavoro, laddove però (chi si occupa di restauro lo sa bene) esistono solo umili “servi della storia” e nessun artista.
Quindi direi che non sono nemmeno apprendista. E questo stato mi piace perchè osservare, scoprire e imparare sono il fine stesso...della (mia) vita.
"Scrittura e pittura sono le due estremità della stessa arte e la loro realizzazione è identica" - Aforisma di Shitao
Daniela
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Artisti o artigiani?
@ ottorino
Come ho già avuto modo di scrivere non amo le etichette, che spesso sono utili solo a nascondere l’uomo che ci sta dietro, ma la querelle mi sembrava intrigante e, in fondo, un certo senso di appartenenza ad una delle due categorie lo vivo.
E’ vero che tracciare il confine netto tra arte e mestiere non è semplice: le corporazioni medievali fiorentine dei mestieri si rifacevano a precise tradizioni operative che erano definite la Regola dell’Arte (per cui anche oggi quando si vuol magnificare la perfezione di un manufatto di dice che è realizzato a regola d’arte).
Si potrebbe definire l’arte come la manifestazione estetica dell’interiorità umana, capace di trasmettere emozioni soggettive.
Il mestiere realizza un qualcosa che ha una funzione pratica e che, per assolvere al meglio a tale funzione, deve essere fatto con quanta più abilità tecnica possibile: il risultato potrà essere anche “bello” ma non è quello il fine ultimo della realizzazione, potrà anche emozionare ma si tratta di un effetto secondario.
Quando, usando le tecniche proprie del mestiere, si mira precipuamente ad una manifestazione estetica, si fa del mestiere un’arte.
Quando lo scrivere a mano era l’unica forma di comunicazione scritta possibile, lo scrivere bene era essenziale ai fini di una corretta trasmissione dei contenuti: la calligrafia assolveva quindi ad una funzione, e tanto più era “calligrafia” tanto meglio funzionava. In questo senso era indiscutibilmente un mestiere.
Se la funzione della corretta e immediata comunicazione va in secondo piano rispetto alla manifestazione estetica, probabilmente ci si avvicina ad una forma artistica: questo, se è vero oggi che la scrittura elettronica a messo a disposizione anche dei meno dotati lo strumento per scrivere senza timore di non essere compresi, è successo anche in passato, basti pensare a grafie tipo Coulèè e Kadel dove la ricerca del bello e dello stupefacente andavano spesso a detrimento della leggibilità.
In conclusione credo che il nocciolo della questione non sia se la calligrafia è arte o mestiere, bensì lo spirito con cui pratica la calligrafia che le può far assumere una delle due identità.
@daniela
Amare e soffrire sul lavoro: che Dio me ne guardi!
Il mio lavoro è una necessità che mi permette di soddisfare le esigenze (purtroppo, oggigiorno, solo le primarie) della vita quotidiana e lo vivo senza il benché minimo coinvolgimento emozionale. Potrebbe essere peggio, per cui va bene così.
Il mestiere che si eleva ad arte: questo crea una scala gerarchica di valori che non condivido. Ambedue le manifestazioni delle capacità umane hanno pari dignità perché assolvono a due bisogni diversi tra cui non mi pare equo stabilire una relazione di subordine.
Il movimento Arts and Crafts: a parte le implicazioni politico-sociali del pensiero (che non mi pare assolutamente il caso di trattare in questa sede), è innegabile che uno dei suoi scopi era difendere l’artigianato “contro l'incedere dell'omologazione industriale, dell'impoverimento culturale dovuto alla serialità della produzione che privava l'oggetto del suo diritto di essere ...unico”. Ma questo, mio risibile parere personale, non rende il mestiere arte tout-court.
Per evitare malintesi preciso che il quesito da me posto è relativo alla sola pratica della calligrafia: il miniatore e l’illuminatore sono un’altra cosa, siano essi meri copisti o fenomeni di creatività.
Lo scopo della vita: per me vivere bene … epicuri de grege porcum.
Come ho già avuto modo di scrivere non amo le etichette, che spesso sono utili solo a nascondere l’uomo che ci sta dietro, ma la querelle mi sembrava intrigante e, in fondo, un certo senso di appartenenza ad una delle due categorie lo vivo.
E’ vero che tracciare il confine netto tra arte e mestiere non è semplice: le corporazioni medievali fiorentine dei mestieri si rifacevano a precise tradizioni operative che erano definite la Regola dell’Arte (per cui anche oggi quando si vuol magnificare la perfezione di un manufatto di dice che è realizzato a regola d’arte).
Si potrebbe definire l’arte come la manifestazione estetica dell’interiorità umana, capace di trasmettere emozioni soggettive.
Il mestiere realizza un qualcosa che ha una funzione pratica e che, per assolvere al meglio a tale funzione, deve essere fatto con quanta più abilità tecnica possibile: il risultato potrà essere anche “bello” ma non è quello il fine ultimo della realizzazione, potrà anche emozionare ma si tratta di un effetto secondario.
Quando, usando le tecniche proprie del mestiere, si mira precipuamente ad una manifestazione estetica, si fa del mestiere un’arte.
Quando lo scrivere a mano era l’unica forma di comunicazione scritta possibile, lo scrivere bene era essenziale ai fini di una corretta trasmissione dei contenuti: la calligrafia assolveva quindi ad una funzione, e tanto più era “calligrafia” tanto meglio funzionava. In questo senso era indiscutibilmente un mestiere.
Se la funzione della corretta e immediata comunicazione va in secondo piano rispetto alla manifestazione estetica, probabilmente ci si avvicina ad una forma artistica: questo, se è vero oggi che la scrittura elettronica a messo a disposizione anche dei meno dotati lo strumento per scrivere senza timore di non essere compresi, è successo anche in passato, basti pensare a grafie tipo Coulèè e Kadel dove la ricerca del bello e dello stupefacente andavano spesso a detrimento della leggibilità.
In conclusione credo che il nocciolo della questione non sia se la calligrafia è arte o mestiere, bensì lo spirito con cui pratica la calligrafia che le può far assumere una delle due identità.
@daniela
Amare e soffrire sul lavoro: che Dio me ne guardi!
Il mio lavoro è una necessità che mi permette di soddisfare le esigenze (purtroppo, oggigiorno, solo le primarie) della vita quotidiana e lo vivo senza il benché minimo coinvolgimento emozionale. Potrebbe essere peggio, per cui va bene così.
Il mestiere che si eleva ad arte: questo crea una scala gerarchica di valori che non condivido. Ambedue le manifestazioni delle capacità umane hanno pari dignità perché assolvono a due bisogni diversi tra cui non mi pare equo stabilire una relazione di subordine.
Il movimento Arts and Crafts: a parte le implicazioni politico-sociali del pensiero (che non mi pare assolutamente il caso di trattare in questa sede), è innegabile che uno dei suoi scopi era difendere l’artigianato “contro l'incedere dell'omologazione industriale, dell'impoverimento culturale dovuto alla serialità della produzione che privava l'oggetto del suo diritto di essere ...unico”. Ma questo, mio risibile parere personale, non rende il mestiere arte tout-court.
Per evitare malintesi preciso che il quesito da me posto è relativo alla sola pratica della calligrafia: il miniatore e l’illuminatore sono un’altra cosa, siano essi meri copisti o fenomeni di creatività.
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Artisti o artigiani?
Imprescindiilità dell'Hic et nunc! Giudichiamo oggi ciò che è nato ieri.
I miniatori e i calligrafi del IX secolo sono per noi artisti. Le loro opere sono esposte nei musei e nelle gallerie e come opere d'arte le percepiamo, le trattiamo, le esponiamo,le collezioniamo. Ma non credo che quei calligrafi e miniatori si reputassero artisti.
Allo stesso modo non credo che l'arte debba per forza trasmettere qualcosa, e men che meno credo che debba rivelare l'artista! L'arte semmai rivela l'osservatore. Il fatto che un'opera trasmetta sensazioni, non dipende esclusivamente dall'opera, ma - direi soprattutto - da chi la osserva. Un calligrafo può mettere tutto sé stesso in una bella pagina di corsivo, e per due osservatori diversi essa può apparire come un più o meno triste rimando alle memorie di prima elementare o un capolavoro che si vorrebbe appendere alla parete. La sensazione che ho io ad esempio, osservando i vecchi manuali di calligrafia del prof. D'Urso, per citarne solo uno, è d'essere davanti ad un capolavoro. E vorrei sottolineare, a proposito della presunta inutilità dell'arte, chiamata a svolgere una mera funzione estetica, che sono nati come manuali didattici!
Ogni classificazione implica delle regole che definiscono gli ambiti di appartenenza (in questo caso artigiano, artista) e come dicevo, reputo impossibile delimitare il confine fra l'una e l'altra figura.
Infine vorrei aggiungere che l'opera d'arte ha una vita propria indipendente dal suo artefice.
L'opera d'arte esiste anche senza l'artista, esiste anche quando l'autore ne è ignoto, ma nessun artista (o artigiano) esiste senza l'evidenza dell'opera: è l'Arte insomma che ha partorito l'artista e non il contrario. Per questo come giustamente notava Alessandro riguardo alle corporazioni artigianali del medioevo, le opere di un artigiano potevano essere considerate opere d'arte. Ma dubito che al loro esecutore venisse tributato lo status d'artista.
Ciò per ribadire che a mio modesto avviso, le distinzioni sono un po' velleitarie o almeno, labili.
E nulla, sebbene egli si ritenga un apprendista artigiano, può impedirmi di considerare le opere di Alessandro che abbiamo potuto osservare qui sul Forum, delle opere d'arte che volentieri appenderei alle pareti di casa mia.
Come dicevo l'arte è indipendente dall'artista, è soggettiva la sua percezione e a discriminare purtroppo - in senso lato, di meno in calligrafia - sono più che altro i gusti dell'epoca o la fortuna decretata da uno o dall'altro sponsor, che sia un mecenate rinascimentale o una galleria d'arte contemporanea o uno dei critici meglio introdotti.
(P.S. Svolgere un lavoro che si fa amare e che fa soffrire...in realtà è una fortuna che capita a pochi...
)
I miniatori e i calligrafi del IX secolo sono per noi artisti. Le loro opere sono esposte nei musei e nelle gallerie e come opere d'arte le percepiamo, le trattiamo, le esponiamo,le collezioniamo. Ma non credo che quei calligrafi e miniatori si reputassero artisti.
Allo stesso modo non credo che l'arte debba per forza trasmettere qualcosa, e men che meno credo che debba rivelare l'artista! L'arte semmai rivela l'osservatore. Il fatto che un'opera trasmetta sensazioni, non dipende esclusivamente dall'opera, ma - direi soprattutto - da chi la osserva. Un calligrafo può mettere tutto sé stesso in una bella pagina di corsivo, e per due osservatori diversi essa può apparire come un più o meno triste rimando alle memorie di prima elementare o un capolavoro che si vorrebbe appendere alla parete. La sensazione che ho io ad esempio, osservando i vecchi manuali di calligrafia del prof. D'Urso, per citarne solo uno, è d'essere davanti ad un capolavoro. E vorrei sottolineare, a proposito della presunta inutilità dell'arte, chiamata a svolgere una mera funzione estetica, che sono nati come manuali didattici!
Ogni classificazione implica delle regole che definiscono gli ambiti di appartenenza (in questo caso artigiano, artista) e come dicevo, reputo impossibile delimitare il confine fra l'una e l'altra figura.
Infine vorrei aggiungere che l'opera d'arte ha una vita propria indipendente dal suo artefice.
L'opera d'arte esiste anche senza l'artista, esiste anche quando l'autore ne è ignoto, ma nessun artista (o artigiano) esiste senza l'evidenza dell'opera: è l'Arte insomma che ha partorito l'artista e non il contrario. Per questo come giustamente notava Alessandro riguardo alle corporazioni artigianali del medioevo, le opere di un artigiano potevano essere considerate opere d'arte. Ma dubito che al loro esecutore venisse tributato lo status d'artista.
Ciò per ribadire che a mio modesto avviso, le distinzioni sono un po' velleitarie o almeno, labili.
E nulla, sebbene egli si ritenga un apprendista artigiano, può impedirmi di considerare le opere di Alessandro che abbiamo potuto osservare qui sul Forum, delle opere d'arte che volentieri appenderei alle pareti di casa mia.
Come dicevo l'arte è indipendente dall'artista, è soggettiva la sua percezione e a discriminare purtroppo - in senso lato, di meno in calligrafia - sono più che altro i gusti dell'epoca o la fortuna decretata da uno o dall'altro sponsor, che sia un mecenate rinascimentale o una galleria d'arte contemporanea o uno dei critici meglio introdotti.
(P.S. Svolgere un lavoro che si fa amare e che fa soffrire...in realtà è una fortuna che capita a pochi...

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I miniatori e gli scriba del IX secolo erano uomini di chiesa (a quei tempi l'editoria laica praticamente non esisteva): i grandi manoscritti da loro prodotti ( non i testi per la pratica giornaliera delle funzioni) perseguivano due fini: magnificare la gloria di Dio attraverso la bellezza dell'opera e creare manufatti di culto che, sempre per la loro bellezza, assumessero un ruolo simile a quello di una reliquia da esporre all'adorazione del popolo (cito in merito la esemplare contestualizzazione dei Lindisfarne Gospels fatta da Michelle P. Brown); non so se, oltre che uomini di fede, si ritenessero o meno degli artisti, ma sicuramente avevano ben chiaro in mente cosa volevano ottenere dalle loro fatiche.
Riguardo al come "sentire" l'arte, credo che il bello stia proprio nella soggettività del risultato.
Riguardo al lavoro, sono proprio io che non sono portato ad amare il lavoro in quanto tale! In passato ho avuto una grande passione che ho portato avanti per 35 anni raggiungendo una competenza notevole.Ad un certo punto ho deciso di farne il mio lavoro e li è cascato l'asino: diventando la mia fonte di sostentamento ho dovuto accettare compromessi che,giorno dopo giorno, hanno cominciato a pesare così tanto che, dopo circa due anni, ho buttato tutto alle ortiche e non ho mai ripreso quellla attività neppure come passatempo.
Riguardo al come "sentire" l'arte, credo che il bello stia proprio nella soggettività del risultato.
Riguardo al lavoro, sono proprio io che non sono portato ad amare il lavoro in quanto tale! In passato ho avuto una grande passione che ho portato avanti per 35 anni raggiungendo una competenza notevole.Ad un certo punto ho deciso di farne il mio lavoro e li è cascato l'asino: diventando la mia fonte di sostentamento ho dovuto accettare compromessi che,giorno dopo giorno, hanno cominciato a pesare così tanto che, dopo circa due anni, ho buttato tutto alle ortiche e non ho mai ripreso quellla attività neppure come passatempo.
Bene qui latuit bene vixit