Ma andiamo con ordine.
Premessa, ovvero come impararai ad amare la bomb…
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Il caricamento di una penna a pistone per molti appassionati rappresenta una operazione estremamente appagante, pari, se non superiore, all’utilizzo della penna stessa. Si potrebbe quasi dire che il gesto dell’intinzione del pennino nel calamaio, seguito dallo sfiato dell’aria e caricamento del serbatoio, assuma un significato quasi erotico. Quasi come il come il cartello di senso vietato per un motociclista.
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Una delle cose belle della vita è che spesso si può scegliere. Sono quasi quarant’anni che scrivo usando penne stilografiche. Sino ad ora non ho ancora trovato uno strumento di scrittura altrettanto confortevole, soprattutto quando si tratta di scrivere a lungo. Se escludo una parentesi universitaria, fatta di converter o cartucce riciclate riempiendole con la siringa di Pelikan 4001 Blue Royal (acquistato in bottiglia da litro per motivi di budget), ho sempre usato inchiostri in cartucce. Il motivo è insito in quella che gli inglesi chiamano “convenience”, che non vuol dire convenienza economica ma praticità associata a semplicità. Un pacchetto di cartucce ti segue ovunque, si accontenta di un angolo della borsa, non ti crea problemi ai controlli di sicurezza degli aeroporti e non corri il rischio di sporcarti le dita nell’operazione di sostituzione della cartuccia esausta. La cartuccia esaurita si può sostituire ovunque in pochi secondi, anche nel bel mezzo di una riunione. Molte penne consentono di avere la cartuccia di ricambio a portata di mano nella penna stessa. Le penne a cartuccia sono intrinsecamente più semplici, e come ti insegnano i costruttori di automobili da corsa: “quel che non c’è, non si rompe”. Non ultimo, il rischio che una cartuccia si rompa accidentalmente e perda inchiostro è molto basso, e comunque la quantità è limitata: 0,7 ml in una cartuccia internazionale standard, a voler fare i pignoli.
Tuttavia, quando la passione supera il livello di guardia, o meglio se da utilizzatori più o meno entusiasti di penne stilografiche si diventa appassionati, ci si rende rapidamente conto del fatto che la disponibilità di inchiostri in cartuccia è molto limitata. Anche i marchi che offrono più scelte, come l’inglese Diamine, non vanno oltre la ventina, contro un centinaio di inchiostri in calamaio. In pratica si trovano solo i colori standard. Il che va bene per molti ma costituisce un limite invalicabile quando il gioco si fa duro e ci si imbarca nella ricerca dell’inchiostro ideale, con tonalità e caratteristiche particolari. E’ precisamente questo il punto da cui sono partito io. Il gesto del caricamento descritto sopra non mi ha mai attirato, ho sempre apprezzato la praticità e la semplicità intrinseca nelle cartucce e delle penne a cartuccia, ma sono arrivato al punto in cui mi interessava usare inchiostri che in cartuccia non si trovano e dei quali avevo nel frattempo accumulato una discreta quantità di calamai in cantina, la maggior parte ricevuti in regalo da parenti, amici o con l’acquisto di una penna.
Il primo passo è stato dotare qualche penna stilografica di converter e provare a provarci. Le penne a pistone nella mia collezione sono arrivate dopo. Ho resistito un mese, poi sono tornato alle cartucce. Come dicono gli inglesi a proposito del sesso (da cui il famoso detto “niente sesso, siamo inglesi”), lo sforzo non vale la ricompensa. Tutto quel trafficamento per una quantità di inchiostro che se andava bene e mi riusciva di riempire il converter senza bolle, era più o meno quella di una cartuccia. Autonomia limitata significava doversi portar dietro il calamaio, con tutto quel che ne consegue. Inoltre non è bello entrare in una riunione con le dita inchiostrate perché qualcosa è andato storto nel caricamento del converter. Stavo meditando seriamente di ridurre il livello di entropia della cantina e buttare tutti i calamai di inchiostro, a trattenermi, più che il principio della termodinamica è stato il fatto di non sapere come fare a smaltirli in modo corretto. Nel frattempo sono successe due cose. La prima è che per caso ho comprato una penna a pistone, passando quindi ad uno strumento con una autonomia decente. La seconda è che ho scoperto dell’esistenza di questo calamaio, grazie a Dante nel sito e alla signora Laura che, visto che non ero ancora convinto del tutto, me ne ha inviato uno in “comodato d’uso pro-recensione”.
L’oggetto, questo (semi) sconosciuto
È arrivato adeguatamente protetto in una scatoletta di cartoncino con il logo della casa. La scatola contiene il calamaio vero e proprio ed un contagocce vecchio stile, con la tettarella in gomma. Mi sembra quasi inutile scriverlo, ma il contagocce serve per caricarlo. Infine è presente un foglietto di istruzioni, che spiega come usare il calamaio con i vari tipi di penna stilografica. L'immagine che segue è tratta dal sito internet Visconti.
La prima cosa che ho fatto è stata sostituire il contagocce con uno di quelli in plastica monouso che si utilizzano nei laboratori di analisi. In pratica è un unico pezzo di plastica trasparente. E’ molto più capiente rispetto a quello in dotazione, ha la cannuccia più lunga e quindi arriva fino in fondo anche nei calamai più grandi, evitando di sporcarsi le dita toccando l'imboccatura. Essendo realizzato in un unico pezzo, non c’è il rischio che la tettarella di gomma si stacchi sul più bello. Infine, anche se viene dato per monouso (nel senso che in laboratorio normalmente lo si butta dopo averlo usato, ad esempio per trasferire un campione biologico) in questo tipo di utilizzo lo si può tranquillamente sciacquare e riutilizzare. Io sto usando lo stesso da mesi. Queste pipette si trovano con relativa facilità e se avete un amico che lavora in un laboratorio analisi, non avrete difficoltà a farvene dare una.
Venendo all’oggetto in sé, è realizzato con la cura che ci si aspetta dal marchio, a testimonianza che i prodotti Visconti sono pensati e realizzati “da stilografici per stilografici”. Come si vede dalla foto, è un cilindro lungo 12,7 cm e largo 1,6. Oltre al marchio presenta la scritta “Calamaio da Viaggio”, in italiano, inglese, tedesco, francese e spagnolo. Si tratta di un particolare non da poco, ad ulteriore riprova dell’attenzione quasi maniacale che Visconti dedica ai propri prodotti. Questo calamaio è pensato per chi viaggia. La presenza della scritta può essere di aiuto a chi deve spiegarne la funzione agli addetti alla sicurezza degli aeroporti, cosa che a me è successa un paio di volte, prima che facciano il danno, ovvero lo aprano e finiscano per restare con le dita inchiostrate o, nel dubbio, decidano di confiscarlo.
Il livello dell’inchiostro è visibile attraverso una finestrella situata a circa 5 cm dal fondo e alta circa 2 cm. A metà della finestrella è riportata una riga, che indica il livello massimo di riempimento. Sulla sommità del calamaio sono presenti due tappi, il primo è sporgente, lo si apre infilando l’unghia nella scanalatura e facendo leva. Cela un tamponcino in feltro assorbente, utile per la pulizia del pennino dopo la ricarica. Devo ancora usarlo, perché per tutte le mie ricariche ho pulito il pennino o con un fazzolettino di carta o con una sana sciacquata sotto il rubinetto.
Il tappo vero e proprio invece è zigrinato ed è calzato a pressione. Togliendo il tappo, il calamaio si accorcia di quasi un centimetro e mezzo, il che è anche logico, perché questo tappo contiene al suo interno l’alloggiamento per il tamponcino di feltro. Osservando l’interno, si vede un alloggiamento a forma di tronco di cono che si restringe verso il basso e che nasconde la “magia” di questo oggetto. La sua forma è tale per cui infilando la penna stilografica fino a sentire una certa resistenza, si realizza una tenuta perfetta, che permette di capovolgere il calamaio ed effettuare l’operazione di ricarica, secondo le istruzioni e senza coinvolgere le dita, la scrivania, la camicia e i pantaloni nell’operazione.
Perché ciò possa accadere è necessario che il contatto tra l’alloggiamento troncoconico e l’impugnatura della penna stilografica sia a tenuta. Quindi la parte finale dell’impugnatura, quella verso il pennino, non deve essere troppo sottile (indicativamente deve essere almeno di 9-10 mm), né troppo spessa (13-14 mm). Sono dimensioni tali da rendere il calamaio compatibile con la quasi totalità delle penne in commercio. Io ho sperimentato con successo il riempimento sia di un “peso piuma” come la Pelikan M205, che di una penna dall’impugnatura decisamente “cicciotta”, come la Delta Dolcevita Pistone. Altro requisito che la penna stilografica deve avere è che la parte della sezione responsabile della tenuta tra penna e calamaio sia perfettamente rotonda e non scanalata. L’unica penna che mi ha dato problemi da questo punto di vista è stata una penna scolastica di marca sconosciuta, che aveva una impugnatura pseudoergonomica con la tutta la sezione triangolare. Ma si tratta di casi più unici che rari. Visconti informa che lìuso di questo calamaio non può essere applicato a penne d’epoca con serbatoio in gomma o caricamento a leva. Nel dubbio, per evitare di far danni, e come consigliato dal produttore stesso, conviene fare la prima prova di caricamento con acqua, onde essere sicuri della compatibilità tra penna e calamaio.
(segue)