Mostra Scambio - Pen Show - di Napoli
27 settembre 2025 - Hotel Hotel Palazzo Alabardieri, via Alabardieri, 9
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Un balsamo per lucidare le penne
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Un balsamo per lucidare le penne
Visto che la mia prima sperimentazione sul tema ha avuto successo, condividerò un’altra piccola e personale “invenzione” - ma sempre senza alcuna responsabilità eh!
Ho imparato su questo forum che la cera d’api può essere un valido prodotto per lucidare le nostre penne: naturale, economico, privo di rischi e controindicazioni, dona alle penne in celluloide e in resina una lucentezza abbastanza duratura, oltre ad essere piuttosto gradevole all’olfatto e al tatto (lascia le penne grasse ma non unte).
Usando le mie manine, invece, ho scoperto che l’applicazione è un processo brigoso: occorre anzitutto scaldarla per liquefarla, poi applicarla con cautela mentre solidifica (cosa che fa molto rapidamente, complicando le cose), spargerla uniformemente è difficile e serve una buona dose di olio di gomito per lucidare a dovere…
Poi mi è capitato sotto mano un vasetto di una cera multiuso, consigliata per ravvivare e lucidare oggetti in pelle e legno. I componenti principali sono oli minerali e cere vegetali e il gran vantaggio è la consistenza semisolida: basta strofinare un poco per fonderla, quindi non richiede riscaldamento e l’applicazione è molto semplice. Tipo lipstick, per intenderci…
Non ho osato provarla su una penna; ma mi è venuto in mente di usare l’olio di vaselina (che a temperatura ambiente è liquido) per abbassare il punto di fusione della cera d’api e aumentarne la lavorabilità. Gli ingredienti sono economici, facilmente reperibili e, dalle informazioni disponibili online, sono considerati sicuri per ebanite, celluloide e resine varie.
Insomma, mi pare non si possano fare grandi danni…
Il procedimento è semplice e sicuramente migliorabile.
In un piccolo recipiente (io ho usato il misurino della Tachipirina sciroppo) si fa sciogliere una piccola quantità di cera d’api: sono sufficienti uno o due minuti in microonde, dentro una tazza riempita per metà d’acqua, tipo bagnomaria. Quando la cera è completamente liquida, cominciamo ad aggiungere la vaselina a filo, mescolando energicamente (io ho utilizzato un pezzo di filo d’alluminio da 2mm come “frusta”). La cera si cristallizzerà raffreddandosi, ma se aggiungiamo lentamente e mescoliamo velocemente, si creerà una sorta di emulsione tra le due sostanze. È un po’ come fare una maionese molto solida. Ho aggiunto anche due gocce di un olio essenziale per dare un buon profumo.
Una volta che avremo incorporato più o meno tanta vaselina quant’era la quantità iniziale di cera, si sarà formata una massa cerosa soffice e bianca, che potremo facilmente pressare con un dito nel medesimo contenitore.
In pratica il gioco è fatto.
Basta strofinarci sopra un panno di lana per prelevare un po’ di prodotto, senza bisogno di scaldare. Strofinando sulla penna, l’attrito è sufficiente a fonderlo e l’applicazione risulta molto più agevole rispetto alla sola cera; anche la lucidatura è semplice.
Il risultato finale è un po’ meno brillante e un po’ meno duraturo rispetto alla sola cera d’api: questa solidificando cristallizza e forma uno stato più solido e trasparente. In compenso la sensazione tattile la trovo migliore. Ma soprattutto ci vuole 1/5 del tempo e 1/10 dell’impegno a portare a termine il lavoro!
Funziona ugualmente bene su celluloide, ebanite e resine plastiche. Non ho riscontrato effetti indesiderati né controindicazioni di sorta.
Insomma, è diventato il mio trattamento estetico standard per tutte le mie stilografiche!
Ho imparato su questo forum che la cera d’api può essere un valido prodotto per lucidare le nostre penne: naturale, economico, privo di rischi e controindicazioni, dona alle penne in celluloide e in resina una lucentezza abbastanza duratura, oltre ad essere piuttosto gradevole all’olfatto e al tatto (lascia le penne grasse ma non unte).
Usando le mie manine, invece, ho scoperto che l’applicazione è un processo brigoso: occorre anzitutto scaldarla per liquefarla, poi applicarla con cautela mentre solidifica (cosa che fa molto rapidamente, complicando le cose), spargerla uniformemente è difficile e serve una buona dose di olio di gomito per lucidare a dovere…
Poi mi è capitato sotto mano un vasetto di una cera multiuso, consigliata per ravvivare e lucidare oggetti in pelle e legno. I componenti principali sono oli minerali e cere vegetali e il gran vantaggio è la consistenza semisolida: basta strofinare un poco per fonderla, quindi non richiede riscaldamento e l’applicazione è molto semplice. Tipo lipstick, per intenderci…
Non ho osato provarla su una penna; ma mi è venuto in mente di usare l’olio di vaselina (che a temperatura ambiente è liquido) per abbassare il punto di fusione della cera d’api e aumentarne la lavorabilità. Gli ingredienti sono economici, facilmente reperibili e, dalle informazioni disponibili online, sono considerati sicuri per ebanite, celluloide e resine varie.
Insomma, mi pare non si possano fare grandi danni…
Il procedimento è semplice e sicuramente migliorabile.
In un piccolo recipiente (io ho usato il misurino della Tachipirina sciroppo) si fa sciogliere una piccola quantità di cera d’api: sono sufficienti uno o due minuti in microonde, dentro una tazza riempita per metà d’acqua, tipo bagnomaria. Quando la cera è completamente liquida, cominciamo ad aggiungere la vaselina a filo, mescolando energicamente (io ho utilizzato un pezzo di filo d’alluminio da 2mm come “frusta”). La cera si cristallizzerà raffreddandosi, ma se aggiungiamo lentamente e mescoliamo velocemente, si creerà una sorta di emulsione tra le due sostanze. È un po’ come fare una maionese molto solida. Ho aggiunto anche due gocce di un olio essenziale per dare un buon profumo.
Una volta che avremo incorporato più o meno tanta vaselina quant’era la quantità iniziale di cera, si sarà formata una massa cerosa soffice e bianca, che potremo facilmente pressare con un dito nel medesimo contenitore.
In pratica il gioco è fatto.
Basta strofinarci sopra un panno di lana per prelevare un po’ di prodotto, senza bisogno di scaldare. Strofinando sulla penna, l’attrito è sufficiente a fonderlo e l’applicazione risulta molto più agevole rispetto alla sola cera; anche la lucidatura è semplice.
Il risultato finale è un po’ meno brillante e un po’ meno duraturo rispetto alla sola cera d’api: questa solidificando cristallizza e forma uno stato più solido e trasparente. In compenso la sensazione tattile la trovo migliore. Ma soprattutto ci vuole 1/5 del tempo e 1/10 dell’impegno a portare a termine il lavoro!
Funziona ugualmente bene su celluloide, ebanite e resine plastiche. Non ho riscontrato effetti indesiderati né controindicazioni di sorta.
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Ciao e grazie per la discussione che hai iniziato.
Per quanto riguarda le penne in celluloide, forse (e dico forse), la cera d'api, vaselina e composti similari, non è adatta.
Lo strato di cera d'api che si solidifica sulla superficie della penna, per quanto sottile e impercettibile, potrebbe impedire alla celluloide di "respirare" e impedendo, in particolare, agli ossidi di azoto di fuoriuscire dal materiale: un accumulo di ossidi di azoto all'interno della celluloide, ormai non più legati chimicamente alla cellulosa, potrebbe velocizzare la cristallizzazione.
In linea generale, tenderei quindi ad evitare l'uso di questi composti per la lucidatura/pulizia delle penne in celluloide.
Edit
Potrebbe essere adatta per l'ebanite, dove lo strato di cera potrebbe invece rallentarne l'ossidazione, facendo da "barriera" all'ossigeno dell'aria.
E' tutto un forse, ma forse sarebbe meglio tenerne conto.
Mirko
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Grazie del contributo!
Ovviamente se ci sono altri pareri circa l’utilizzo sui diversi materiali, sono tutt’orecchi…
Avevo letto sul forum che diversi utenti usano l’olio d’oliva sulla celluloide. L’ho fatto anche io, ma rispetto alla cera e all’intruglio di cui sopra è molto meno durevole e meno piacevole dal punto di vista tattile, perché la penna rimane unta…
Ovviamente se ci sono altri pareri circa l’utilizzo sui diversi materiali, sono tutt’orecchi…
Avevo letto sul forum che diversi utenti usano l’olio d’oliva sulla celluloide. L’ho fatto anche io, ma rispetto alla cera e all’intruglio di cui sopra è molto meno durevole e meno piacevole dal punto di vista tattile, perché la penna rimane unta…
Ultima modifica di rizzi83 il sabato 6 settembre 2025, 18:13, modificato 1 volta in totale.
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quali sono gl'interventi che hai trovato in cui gli utenti dicono di aver usato l'olio d'oliva? io non l'ho mai letto 

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Marco
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concordo con Mir70 riguardo l'uso del tuo "intruglio" sulla celluloide, che preferisco lasciar tal quale (e che anzi ha bisogno di respirare e potendo, essere lavata periodicamente), e sul fatto che potrebbe invece andare sulla ebanite (che come dicevo altrove sembra amare le sostanze lipidiche).
Non lo userei sulle resine, ma solo per il fatto che in genere non ne hanno bisogno, anzi non vedo il vantaggio di pasticciarle con un prodotto che può anche lucidarle, ma poi appena le tocchi (essendo unto) lascerebbe impronte dappertutto.
Non lo userei sulle resine, ma solo per il fatto che in genere non ne hanno bisogno, anzi non vedo il vantaggio di pasticciarle con un prodotto che può anche lucidarle, ma poi appena le tocchi (essendo unto) lascerebbe impronte dappertutto.
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Qui si parlava sia di cera che di olio sulla celluloide… che a quanto pare dev’essere calabrese

viewtopic.php?t=5272&start=15
Ultima modifica di rizzi83 il sabato 6 settembre 2025, 18:15, modificato 1 volta in totale.
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In realtà il problema delle ditate non c’è, come invece con l’olio… da questo punto di vista si comporta più come la cera, che una volta lucidata non è molto sensibile alle ditate. Sulla maggior parte delle mie penne le ditate sono più evidenti sulla penna “nuda”.
Il senso del trattamento per me è fondamentalmente estetico: l’aspetto delle penne (specialmente se scure e abbastanza indipendentemente dal materiale) risulta bello lucido.
Ma ovviamente se “coprire” o “ungere” la celluloide può avere effetti collaterali, la cosa va considerata

A occhio e croce mi parrebbe comunque che non possa fare più danni rispetto alla cera o all’olio tal quali.
Per la cronaca, avevo pensato di utilizzare un olio vegetale invece che minerale; ma ho pensato che così ci si dovrebbe guadagnare in durata/stabilità dell’intruglio…
Ultima modifica di rizzi83 il sabato 6 settembre 2025, 18:16, modificato 1 volta in totale.
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Un balsamo per lucidare le penne
La faccenda della cera sulla celluloide è stata a lungo dibattuta.
Anche da persone che hanno una vastissima e significativa esperienza nel restauro delle penne.
MA c'è un MA.
Ora, vi prego di leggere tutto il mio intervento e di considerare tutti gli aspetti che pongo oppure di saltarlo in toto, se già avete un'opinione radicale in merito.
- Pippone necessario -
I processi di degradazione della celluloide comportano l'espulsione di materiale sottoforma di gas o di liquido che poi evapora, con una conseguente perdita della struttura molecolare. (Degradazione comunque tipica delle plastiche, cambia la velocità con cui accade.)
Si tratta generalmente della canfora, che è il plastificante della celluloide, ossidi di azoto e acido nitrico, che fanno parte della catena polimerica.
L'acido nitrico, in particolare, quando si "separa" dalla catena polimerica può innescare una sorta di reazione a catena, oltre al fatto che degrada anche molti metalli (quindi verette e pennini). Questo tipo di degrado può portare anche al restringimento e al cambio di plasticità (cambia il rapporto tra polimero e plastificante).
Per questo motivo viene detto che la celluloide deve "respirare", per evitare la reazione a catena.
La perdita di canfora, invece, rende la celluloide più rigida e fragile.
Ok, bene. Ma non si possono fare valutazioni senza tenere anche conto del perché questo succede. O meglio, di cosa acceleri questi processi, perché una lenta o lentissima degradazione è inevitabile.
I fattori sono tre: luce, cioè UV, calore, umidità.
L'umidità in particolare pare sia il maggior responsabile per la perdita dell'acido nitrico. Pare perché in realtà anche chi si occupa di conservazione museale non ha dati scientifici certi.
- Ragionamenti -
Ora: se ho una celluloide che già ha grossi problemi con perdita di acido nitrico, per quanto detto prima il sigillarla con trattamenti superficiali quasi certamente non è una buona idea.
Non che per ora ci sia un metodo verificato per rallentare questo processo una volta innescato, però certamente non è il caso di accelerarlo.
Ma non sempre è quello che sta succedendo.
L'odore di canfora, ad esempio, identifica la perdita del plastificante, non la rottura delle catene polimeriche.
Se invece ho una celluloide sana, in cui il degrado fisiologico non è stato accelerato, cosa posso fare per conservarla senza tenere la penna in una teca a controllo ambientale, avvolta in velina come una mummia?
Evitare un'esposizione eccessiva a UV, e a temperatura e grado di umidità elevati.
Ed è qui che secondo me l'utilizzo di cere (occhio a cosa si intende con cere!) può avere un suo perché.
Può costituire una valida barriera all'umidità e può ostacolare la perdita di canfora (che non è legata alla catena polimerica, ed è meglio che non sia espulsa).
Alcuni tipi di cera possono avere un effetto filtrante degli UV.
Per il calore direi nisba, lo strato è troppo sottile.
Dicevo di fare attenzione a cosa si intende con "cera".
Rizzi ha parlato di cera d'api pura, spiegando bene perché non è possibile utilizzarla tale quale.
Le cere protettive in vendita, in crema, sono emulsioni di vari ingredienti.
Lasciando da parte quelle sintetiche, in genere sono contenute cera d'api e cera carnauba (che ha un minimo potere filtrante degli UV), solventi organici (spesso trementina), possibili additivi (tra cui filtri UV).
- Conclusioni -
Le penne sono vostre. Valutate in base a conoscenze concrete quale procedura di conservazione si adatta maggiormente al vostro utilizzo e alle vostre ansie. (
)
Se le vendete, avvisate i compratori di eventuali trattamenti.
Se decidete di usare una "cera", cercate di capirne le componenti.
"Sì, vabbuò, ma tu cianci e non ti esponi. Tu la usi o no?"
Io la uso.
Su celluloide sana e stabile.
Su celluloide che evaporava canfora tanto da poterla usare come antitarme. E che ora ha solo un leggerissimo profumo. (La prova del nove: rimuovere il fusto e usmare, è lì che c'è la maggiore concentrazione.)
Su celluloide che aveva iniziato a perdere acido nitrico, testimoniato dall'ossidazione delle verette e dal leggero restringimento, senza però essere in situazione disperata. In questo modo, innanzitutto, le parti metalliche risultano protette e non si ossidano più. Non ho poi notato peggioramenti nella celluloide.
Mai usata, invece, su celluloidi messe piuttosto male.
È una esperienza scientifica? No, è anedottica.
Ma nella conservazione della celluloide è tutto piuttosto anedottico, purtroppo.
PS:
se decidete di dare la cera, fatelo anche all'interno del fusto e del cappuccio, altrimenti i discorsi di protezione vanno a quel paese...
Anche da persone che hanno una vastissima e significativa esperienza nel restauro delle penne.
MA c'è un MA.
Ora, vi prego di leggere tutto il mio intervento e di considerare tutti gli aspetti che pongo oppure di saltarlo in toto, se già avete un'opinione radicale in merito.
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I processi di degradazione della celluloide comportano l'espulsione di materiale sottoforma di gas o di liquido che poi evapora, con una conseguente perdita della struttura molecolare. (Degradazione comunque tipica delle plastiche, cambia la velocità con cui accade.)
Si tratta generalmente della canfora, che è il plastificante della celluloide, ossidi di azoto e acido nitrico, che fanno parte della catena polimerica.
L'acido nitrico, in particolare, quando si "separa" dalla catena polimerica può innescare una sorta di reazione a catena, oltre al fatto che degrada anche molti metalli (quindi verette e pennini). Questo tipo di degrado può portare anche al restringimento e al cambio di plasticità (cambia il rapporto tra polimero e plastificante).
Per questo motivo viene detto che la celluloide deve "respirare", per evitare la reazione a catena.
La perdita di canfora, invece, rende la celluloide più rigida e fragile.
Ok, bene. Ma non si possono fare valutazioni senza tenere anche conto del perché questo succede. O meglio, di cosa acceleri questi processi, perché una lenta o lentissima degradazione è inevitabile.
I fattori sono tre: luce, cioè UV, calore, umidità.
L'umidità in particolare pare sia il maggior responsabile per la perdita dell'acido nitrico. Pare perché in realtà anche chi si occupa di conservazione museale non ha dati scientifici certi.
- Ragionamenti -
Ora: se ho una celluloide che già ha grossi problemi con perdita di acido nitrico, per quanto detto prima il sigillarla con trattamenti superficiali quasi certamente non è una buona idea.
Non che per ora ci sia un metodo verificato per rallentare questo processo una volta innescato, però certamente non è il caso di accelerarlo.
Ma non sempre è quello che sta succedendo.
L'odore di canfora, ad esempio, identifica la perdita del plastificante, non la rottura delle catene polimeriche.
Se invece ho una celluloide sana, in cui il degrado fisiologico non è stato accelerato, cosa posso fare per conservarla senza tenere la penna in una teca a controllo ambientale, avvolta in velina come una mummia?
Evitare un'esposizione eccessiva a UV, e a temperatura e grado di umidità elevati.
Ed è qui che secondo me l'utilizzo di cere (occhio a cosa si intende con cere!) può avere un suo perché.
Può costituire una valida barriera all'umidità e può ostacolare la perdita di canfora (che non è legata alla catena polimerica, ed è meglio che non sia espulsa).
Alcuni tipi di cera possono avere un effetto filtrante degli UV.
Per il calore direi nisba, lo strato è troppo sottile.
Dicevo di fare attenzione a cosa si intende con "cera".
Rizzi ha parlato di cera d'api pura, spiegando bene perché non è possibile utilizzarla tale quale.
Le cere protettive in vendita, in crema, sono emulsioni di vari ingredienti.
Lasciando da parte quelle sintetiche, in genere sono contenute cera d'api e cera carnauba (che ha un minimo potere filtrante degli UV), solventi organici (spesso trementina), possibili additivi (tra cui filtri UV).
- Conclusioni -
Le penne sono vostre. Valutate in base a conoscenze concrete quale procedura di conservazione si adatta maggiormente al vostro utilizzo e alle vostre ansie. (

Se le vendete, avvisate i compratori di eventuali trattamenti.
Se decidete di usare una "cera", cercate di capirne le componenti.
"Sì, vabbuò, ma tu cianci e non ti esponi. Tu la usi o no?"
Io la uso.
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Mai usata, invece, su celluloidi messe piuttosto male.
È una esperienza scientifica? No, è anedottica.
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"È tutta colpa di Esme" [Bons]
"Nove decimi del cervello non vengono usati, e come la maggior parte dei fatti noti, è falso."
[sir Terry Pratchett]
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Tutto condivisibile Esme, ma provo a fare l'avvocato del diavolo ...
La domanda che mi pongo è: la barriera offerta dal ripetuto trattamento con cera d’api, mi permetterà di riconoscere per tempo quelle avvisaglie tipiche delle celluloide che ha iniziato il processo di degradazione ?
Forse sì…o forse no.
Il vero problema è che tutto ha un inizio a partire da condizioni che sembrano normali, anche la degradazione della celluloide.
La domanda che mi pongo è: la barriera offerta dal ripetuto trattamento con cera d’api, mi permetterà di riconoscere per tempo quelle avvisaglie tipiche delle celluloide che ha iniziato il processo di degradazione ?
Forse sì…o forse no.
Mirko
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Ottima osservazione.
L'unica risposta è "non lo so".
Del resto proprio un recente intervento sul forum ha testimoniato un collasso repentino e drammatico, che di preavvisi non ne ha dati.

Come ho scritto, ognuno deve valutare l'entità delle proprie ansie.

Io, per me, faccio questa valutazione: se anche mi accorgo di un inizio di deterioramento, non ho mezzi scientificamente provati per contrastarlo.
Quindi tra le due possibilità, scelgo quella che mi dá alcuni risultati certi e compatibili con l'utilizzo che ne faccio io.
(Da questi discorsi sono ovviamente esclusi gli esemplari museali, per cui il drastico protocollo Nishimura è forse l'unica strada.)
E con la celluloide vale sempre un "imbocca al lupo"!
(Vero Roland?

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In tutto questo discorso ci sta anche un bel chissenefrega, nel senso che se mi piacciono le penne belle lucide, le lucido, le uso e poi sarà quel che sarà...
Mirko
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Sono d'accordo.
Per molti di noi le penne sono qualcosa da usare, e che abbiamo per trarne soddisfazione.
Per molti di noi le penne sono qualcosa da usare, e che abbiamo per trarne soddisfazione.
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Concordo molto con le ultime osservazioni
Possiedo alcune belle vintage, ma non pezzi da museo e comunque non acquisto nulla che non possa ed abbia intenzione di usare... ovviamente con la dovuta cura, ma anche intensamente, non giusto qualche prova per intinzione.
Sia chiaro che non ho nessun interesse né voglia di fare adepti: intendevo soltanto condividere un'esperienza, che magari può essere utile a chi già usa la cera, per farlo in modo più semplice, o a chi vorrebbe usarla ma è scoraggiato dal relativo ménage.
Per me le stilografiche sono oggetti d'uso quotidiano e la loro funzione essenziale è di regalare appagamento rispetto ad un gesto che diverrebbe altrimenti stanco e banale, portando un po' di bellezza in particolare nel lavoro. Quando le acquisto, guardo alla funzionalità e piacevolezza nella scrittura; l'estetica non è il primo fattore, ma ovviamente ha una parte importante nel discorso... e, celluloide un po' segnata o ebanite intonsa che sia, la preferisco bella lucida e non amo le ditate. L'intruglio risponde abbastanza bene a queste preferenze.
Poi vanno sicuramente valutate anche le eventuali controindicazioni.
Io per ora lo sto usando da qualche mese su:
- una Waterman Ideal in ebanite nera (quella di questa discussione viewtopic.php?p=445265#p445265): mi pare trarne beneficio, sia visivamente che tattilmente e, dopo il trattamento ringiovanente, non ho notato nuova ossidazione. Ma il tempo è poco e ovviamente la tengo al buio.
- una Omas Lucens tartaruga: l'aspetto migliora impercettibilmente, perché la celluloide è già strepitosamente bella e lucida di suo, ma si vedono meno le ditate e la trovo più piacevole al tatto (come già scritto: grassa senza essere unta).
- un'anonima italiana in celluloide nero-verde-rossa in perfette condizioni: idem come sopra.
- una Omas Extra a levetta, arco grigia virata al verdino: la celluloide è in buono stato ma non intonsa né brillantissima come le precedenti e il miglioramento in termini di lucidità/lucentezza è sensibile.
- una Omas Lucens Ogiva spiralata e un'Aurora 88 Nizzoli non intonse: come la Extra.
- una Montblanc 149 anni '70: ci ho provato, ma non ci sono miglioramenti e quindi ho lasciato perdere; d'altronde trovo la sua resina già eccezionale sia visivamente che tattilmente.
- una Omas 360 in resina di cotone nera... qui sono combattuto: migliora la resistenza alle ditate, ma perde un po' del peculiare aspetto "glossy" che la caratterizza, inoltre non si riesce a lucidarla veramente bene. Nel complesso con lei funziona meglio la sola cera d'api (con relative complicazioni).
- alcune moderne in resina (Visconti Van Gogh, Pineider Avatar UR deluxe): miglioramento appena sensibile otticamente, un po' di più dal punto di vista tattile.
Ovviamente, se riscontrassi complicazioni o effetti collaterali, vi farò sapere!

Possiedo alcune belle vintage, ma non pezzi da museo e comunque non acquisto nulla che non possa ed abbia intenzione di usare... ovviamente con la dovuta cura, ma anche intensamente, non giusto qualche prova per intinzione.
Sia chiaro che non ho nessun interesse né voglia di fare adepti: intendevo soltanto condividere un'esperienza, che magari può essere utile a chi già usa la cera, per farlo in modo più semplice, o a chi vorrebbe usarla ma è scoraggiato dal relativo ménage.
Per me le stilografiche sono oggetti d'uso quotidiano e la loro funzione essenziale è di regalare appagamento rispetto ad un gesto che diverrebbe altrimenti stanco e banale, portando un po' di bellezza in particolare nel lavoro. Quando le acquisto, guardo alla funzionalità e piacevolezza nella scrittura; l'estetica non è il primo fattore, ma ovviamente ha una parte importante nel discorso... e, celluloide un po' segnata o ebanite intonsa che sia, la preferisco bella lucida e non amo le ditate. L'intruglio risponde abbastanza bene a queste preferenze.
Poi vanno sicuramente valutate anche le eventuali controindicazioni.
Io per ora lo sto usando da qualche mese su:
- una Waterman Ideal in ebanite nera (quella di questa discussione viewtopic.php?p=445265#p445265): mi pare trarne beneficio, sia visivamente che tattilmente e, dopo il trattamento ringiovanente, non ho notato nuova ossidazione. Ma il tempo è poco e ovviamente la tengo al buio.
- una Omas Lucens tartaruga: l'aspetto migliora impercettibilmente, perché la celluloide è già strepitosamente bella e lucida di suo, ma si vedono meno le ditate e la trovo più piacevole al tatto (come già scritto: grassa senza essere unta).
- un'anonima italiana in celluloide nero-verde-rossa in perfette condizioni: idem come sopra.
- una Omas Extra a levetta, arco grigia virata al verdino: la celluloide è in buono stato ma non intonsa né brillantissima come le precedenti e il miglioramento in termini di lucidità/lucentezza è sensibile.
- una Omas Lucens Ogiva spiralata e un'Aurora 88 Nizzoli non intonse: come la Extra.
- una Montblanc 149 anni '70: ci ho provato, ma non ci sono miglioramenti e quindi ho lasciato perdere; d'altronde trovo la sua resina già eccezionale sia visivamente che tattilmente.
- una Omas 360 in resina di cotone nera... qui sono combattuto: migliora la resistenza alle ditate, ma perde un po' del peculiare aspetto "glossy" che la caratterizza, inoltre non si riesce a lucidarla veramente bene. Nel complesso con lei funziona meglio la sola cera d'api (con relative complicazioni).
- alcune moderne in resina (Visconti Van Gogh, Pineider Avatar UR deluxe): miglioramento appena sensibile otticamente, un po' di più dal punto di vista tattile.
Ovviamente, se riscontrassi complicazioni o effetti collaterali, vi farò sapere!