Andiamo ora a considerare le
parti metalliche della stilografica: si tratta di parti mobili che necessitano di robustezza e flessibilità (clip e levetta) o che hanno lo scopo di rinforzare una struttura più delicata (veretta), il tutto però sempre anche in funzione decorativa. In quest’ultimo senso alle laminature d’oro spetta il compito di riflettere la luce e di comunicare l’opulenza dello strumento.
L’esemplare in presentazione non ha solo minime tracce di sdoratura (affioramento del metallo non nobile sottostante), confermando con ciò gli standard di qualità ancora elevatissimi dei manufatti della Casa americana prima della II Guerra Mondiale.
La struttura del
fermaglio si sviluppa su tre piani.
• La faccia superiore appare perfettamente piatta ed è rifinite con una lucidatura a specchio: la forma è quella di un aquilone il cui vertice inferiore, però, come abbiamo visto si (ri)allarga per disegnare una goccia pronunciata.
• Si prosegue lateralmente con un piano inclinato, decorato con una fitta e profonda zigrinatura, che procede solo fino a circa un terzo del fermaglio.
• Un bordo verticale completa la struttura del fermaglio lungo tutto il suo perimetro.
La clip è molto aderente alla superficie del cappuccio e sviluppa soltanto un dolce inarcamento sufficiente ad ospitare il fermaglio vero e proprio in punta. Al di sotto del terminale a goccia stilizzata si sviluppa una semisfera con funzione di “aggancio” e “fissaggio” morbido al tessuto di un taschino.
La clip è importante – con una lunghezza di 3,6 cm e una larghezza massima di 0,5 cm – ed occupa buona parte della vista frontale del cappuccio, lasciando spazio oltre le sue estremità a non più di un centimetro di celluloide.
La
levetta “inscatolata” è lunga un quarto di meno, con i suoi 2,6 cm per una larghezza massima di 3,5 mm ed è chiaramente derivata dalla clip. Non si tratta, tuttavia, di una riproduzione pedissequa di elementi, che lo sguardo facilmente basterebbe ad individuare, bensì dell’accostamento di stilemi legati da un più sottile senso di appartenenza ad una natura comune, che il cervello sì coglie, ma non esplicita se non dopo un’attenta osservazione.
L’importante
veretta (una fascia alta ben mezzo centimetro, ampia abbastanza secondo la pubblicità da «contenere una personalizzazione») non risulta appesantire in alcun modo l’armonia tra i vari elementi decorativo-funzionali poiché si presenta solo minimamente rilevata sulla superficie (non appartenendo, perciò, alla categoria delle cosiddette “raised band”) e grazie alla doppia zigrinatura di bordura (con quel suo quid di “indeterminato”), che ha l’effetto di rendere la veretta stessa ancora più omogeneamente inserita nel contesto della celluloide sottostante, in virtù dell’assenza di un limite “lineare” espresso.
La grande veretta singola, in forte controtendenza stilistica rispetto agli anellini sottili applicati da tutta la concorrenza, è una vera e propria “dichiarazione di indipendenza” del designer: il colpo di genio sta, a mio avviso, nel non aver raggiunto il labbro del cappuccio, lasciando quel 1,5 mm di celluloide che dona all’insieme autentica levità.
Caratteristica distintiva e unificante di tutte le metallerie di questa penna è una zigrinatura (
milling, simile a quella delle monete) che decora la parte superiore del fermaglio, i bordi del fascione e la paletta della levetta.
E tuttavia le zigrinature presenti sulla <No.7> (e ciò sta a dimostrare la cura straordinaria del dettaglio già a livello di progettazione) sono di due tipi:
• una semplice (tagli poco profondi, come lineette) sulle bordure del fascione,
• l’altra (presente sulla clip e sulla levetta) più profonda, scavata, in forma di punte lanceolate che ad un ingrandimento adeguato paiono addirittura realizzate a mano.
* * *
All’interno della rivista la <No.7> in celluloide (ancora solo nera nel 1934) era stata posizionata alla fine della ricapitolazione delle creazioni più memorabili nella storia della Waterman (che contiene qualche altro errorino per la gioia degli appassionati), quale esemplare ultimo della “scala evolutiva”, grazie anche al nuovo (ma successivamente discusso/contestato) alimentatore “Tip-Fill”.
The Pen Prophet – 1934, central pages (fonte Ebay)
Quando fu lanciata a metà del 1933 la <No.7> era la stilografica più grande della gamma Waterman, affiancandosi così alla “Patrician”. Stilisticamente la penna si presenta come un riuscito ibrido che reinterpreta sostanzialmente la categoria delle flat-top / streamlined (oggi di una bellezza senza tempo, specie dopo settant'anni di siluri MontBlanc

), ma che grazie alle corrette proporzioni tra le parti risulta di una leggerezza davvero senza pari in rapporto alle pur ragguardevoli dimensioni, raggiungendo l’autentica autorevolezza dello strumento di lusso senza avere ingigantito a dismisura la grandezza dell’insieme.
Il sistema di caricamento
Il caricamento è a levetta di tipo Waterman contenuto all’interno di una scatolina metallica (lever box), ormai ben rodato nel 1935 dopo un ventennio esatto di onorato servizio!
Il sacchetto consigliato sui siti internazionali è il #19 “straight”, ma si può utilizzare anche un #18. Quando si monta un nuovo sacchetto per l’inchiostro, ricordo di assicurarsi che la slitta interna di questo meccanismo (che in assenza di sacchetto a levetta perfettamente chiusa può assumere liberamente due posizioni) sia scivolata fino a trovarsi nella parte inferiore del fusto (verso il fondello) per rendere più agevole l’azionamento della levetta successivamente: perciò consiglio di inserire dall’alto il gruppo scrittura con il sacchetto agganciato, reggendo con l’altra mano il fusto in verticale con il fondello appoggiato sul tavolo.
La paletta di cortesia per il sollevamento della levetta è assicurata contro azionamenti accidentali da uno scatto di sicurezza (click!) nella propria sede.
L’alimentatore “Tip-Fill”
L’alimentatore, come abbiamo visto precedentemente, è il nuovo “Tip-Fill” (
https://www.fountainpen.it/Tip-Fill) in ebanite nera, che dal 1933 andò ad equipaggiare le penne di alta gamma della Waterman.
Introdotto nel 1933 proprio con la <Improved No. 7> in celluloide (proposta per i primi due anni solo in nero “Jet”), l’alimentatore aveva la caratteristica di richiedere la sommersione del gruppo scrittura della penna nel calamaio solo fino al foro di sfiato del pennino (e non fino a ricomprendere anche parte della sezione come era/sarebbe prassi con un alimentatore tradizionale). Richard Binder (
http://www.richardspens.com/ref/gloss/T.htm#tip_fill) ne dice un gran male: personalmente, pur avendo una vera e propria venerazione per lo storico “spoon-feed” ideato dal Fondatore, che ha equipaggiato le penne dei primi cinquant’anni della Casa (1883-1933!!!), non posso negare che il “Tip-Fill” mantenga assolutamente quello che promette nella pubblicità: il caricamento si può effettuare solo immergendo la punta del pennino sino al foro di sfiato (e ciò lo rende davvero molto “pulito” oltre che decisamente più comodo), e l’erogazione dell’inchiostro è sempre all’altezza dei consumi, non solo di quelli tutto sommato parchi di questo pennino fine e rigido (PURPLE) in presentazione, ma anche di quelli dell’esigentissimo pennino
stub flex montato sulla mia <No.7 Emerald Ray>.
Per me, dunque, è promosso a pieni voti!
Il pennino PURPLE
L’iscrizione mette in primo piano e in gran rilievo il nome del colore: PURPLE.
PURPLE
WATERMAN’S (su un arco)
IDEAL
REG. U.S.
PAT. OFF. (su un arco)
MADE IN
U.S.A.
Il pennino
PURPLE è l’erede diretto del pennino “speciale” (o specializzato)
ACCOUNT di cui ho dato conto in questa mia recensione:
viewtopic.php?p=372373#p372373
Non bisogna, tuttavia, commettere l’errore di ritenere che dal 1927 alla fine degli anni Trenta (quando il sistema con codice dei colori fu abbandonato) a un determinato colore corrispondesse sempre la stessa punta (sennò i Collezionisti si annoierebbero!)… In altre parole, si deve prestare attenzione al fatto che al variare del numero e della tipologia dei pennini (con ingressi e sostituzioni nel numero dei colori), nell’arco di circa un decennio alcuni colori non abbiano mantenuto sempre le stesse caratteristiche.
Per ciò che concerne il PURPLE, però, la definizione è stata pressoché stabile nel tempo:
• al momento del lancio del codice dei colori, nel settembre 1927, il pennino di colore e denominazione PURPLE era definito:
«STIFF; FINE — Writes without pressure. Makes a thin, clear line and small figures with unerring accuracy. Popular with accountants.»
(
Molto gradito ai contabili per la sua grande precisione di tratto);
https://www.fountainpen.it/images/0/01/ ... Ripple.jpg
• nel 1933, anno dell’introduzione della <(Improved) No.7 Pen> in celluloide nera (“Jet”) con l’esclusivo nuovo alimentatore “Tip-Fill”, nel Catalogo allegato il PURPLE aggiungeva un destinatario d’uso:
«PURPLE / Stiff-fine / Makes thin, clear lines and small figures. Ideal for accountants and Gregg shorthand»
dove il “Gregg shorthand” era un metodo di stenografia che richiedeva l’uso di pennini fini e non flessibili (
https://en.wikipedia.org/wiki/Gregg_shorthand).
Prova di scrittura
Ecco dunque una prova di scrittura (anche in reverse) su carta millimetrata Canson 90g/m2 con penna caricata con inchiostro Waterman Bleu Sérénité (e mine color violetto

).
La penna lascia un segno distinto anche se non impugnata ma solo trascinata (la formula recita “scrive con il suo solo peso”) e se la cava soddisfacentemente (per vergare le dediche) anche su carta decorosa ma non eccelsa per la stilografica come quella del mio ultimo libro, il terzo, pubblicato quest’anno con diversi brani già presentati in concerto...
Penna perennemente carica, dunque, insieme alla sorella in livrea Ray con pennino
stub-flex: con entrambe copro molte delle mie attuali esigenze di scrittura, e delle mie aspirazioni a funzionalità, storia e bellezza.
Conclusione
Per una analisi delle linee di lettura dell’oggetto rimando volentieri alla chiusa della mia recensione della “Emerald Ray”:
viewtopic.php?p=384948#p384948
La <No.7> è una penna grande, ma non certo “grossa”, e leggerissima; l’impianto è severo, la livrea classica che più non si potrebbe, ma il ritmo con cui si alternano l’oro e il nero suona semplicemente perfetto; i suoi dettagli originali, ricercati e preziosi, la distinguono tra mille.
E poi, quella macchia di colore, squillante, che ti fa l’occhiolino quando meno te lo aspetti, mi mette sempre di buonumore.
Tanti Auguri di Buon Natale e Buon Anno Nuovo 2025 a tutti!!
Grazie per l’attenzione!
Giorgio