Gli apparecchi che si utilizzano per quelle immagini sono piuttosto diversi da quelli che l'appassionato usa comunemente. Nel novantanove per cento dei casi, sono immagini riprese su sensori di medio formato che, per lo meno negli ultimi dieci anni, partono da 50 milioni di fotosensori e spesso li eccedono abbondantemente. Non voglio aprire qui una discussione - fatta e rifatta - sul medio formato vs. full format. I professionisti delle immagini di prodotto utilizzano praticamente sempre sensori di medio formato, montati su fotocamere di medio formato o su fotocamere a elementi mobili di grande formato. Quanto agli schemi di illuminazione, le fotografie pubblicitarie che vediamo stampate sulle riviste o sui cartelloni lungo la strada, sono realizzati al novantanove per cento in studio, con flash da studio capaci, se il fotografo lo vuole, di "imitare" la luce naturale o di eccederne le qualità - ancora una volta - in modo iperrealista.
E' un fatto che la nostra percezione della fotografia fa i conti quotidianamente con questo super-realismo. Se aveste voglia di sfogliare qualche vecchio catalogo di prodotti fotografici o un vecchio libro di tecnica fotografica, dico vecchi di una ventina d'anni, notereste - così come me - che le fotografie sono quasi naïve quanto a risoluzione e illuminazione: colpisce il loro "sub-realismo". Sono, ai nostri occhi viziati dall'immagine contemporanea, quasi inaccettabili.
I produttori di apparecchiature fotografiche fanno peraltro di tutto per convincerci della necessità dell'iperrealismo fotografico, che richiede ovviamente sensori sempre più performanti e costosi, come se questo avesse - di per sé - qualcosa a che fare con la fotografia in senso generale. Cartier-Bresson, Salgado, Adams, Leibovitz, Basilico, Weston, Jodice, dico questi nomi sacri per citarne alcuni, hanno per lo più ignorato i fotosensori digitali. Così come altri grandi fotografi che invece ne fanno uso, si sono concentrati sulla fotografia.
Quello che maggiormente conviene al fotografo é uscire dall'equivoco della domanda se sia meglio la fotografia digitale o quella che si definisce oggi analogica (con un "contrario" che non ho mai capito, giacché il contrario di qualche cosa analogico, fondato sull'analogia, non é digitale, ma diverso, dissimile, difforme, disuguale).
Pellicola e sensore sono supporti con caratteri differenti. Vorrei provare a commentare questo punto con l'aiuto di alcune immagini create per questo scopo.
Qui ho utilizzato lo stesso obiettivo, uno Zeiss Makro-Planar 135 mm su tubo variabile, quasi al massimo ingrandimento possibile. La foto di sinistra é fatta con una Hasselblad 501CM su pellicola in bianco e nero (56x56 mm) Fomapan da 100 ISO. La foto di destra é fatta con la Hasselblad H5D sul suo sensore da 50MP (36.7 x 49.1 mm, poi tagliato a 36.7 x 36.7 mm, pari a circa 38MP), anch’esso esposto a 100ISO per un confronto più equo. Entrambe le coppie di immagini (borsa e cappello, borsa e fotocamera) sono esposte a f/13 per 2” (appena un poco di più nella foto su pellicola, per compensare il maggior ingrandimento). La pellicola é stata sviluppata in Ilfosol-3, diluizione 1+14, 20.5 gradi, per 7’30”. L’immagine sulla pellicola é stata poi fotografata con la Hasselblad H5D e invertita a positiva: qui è cosí come “esce” dalla fotocamera. L’immagine del sensore é stata esportata direttamente da Phocus in formato TIFF è convertita in bianco/nero senza aggiustamenti.
Io trovo che l’immagine ottenuta sul sensore (originale a colori, poi trasformato in B&W in post-produzione), con lo stesso identico obiettivo, sia molto più precisa, più esatta, più liscia, per certi aspetti più nitida, anche se paragonando tra loro le aree nitide la differenza in questo senso non é grande. Però, con tutto il rispetto, non é argentea, e per questo la trovo più fredda e impersonale. Una fotografia di prodotto.
L'immagine ripresa sulla pellicola è più calda, con un contrasto locale più alto, più vissuta. Con i suoi 8-9 stop di latitudine di esposizione, è incomparabilmente più critica del sensore quanto a esposizione. Potete vedere come quest’ultimo (con 13 EV di latitudine) risolve le ombre in modo più chiaro e pulito, ed è facilissimo da lavorare in post-produzione (anche se qui non ve ne è stato bisogno). Osservate anche come, sulle alte luci del cappello di paglia, il sensore conserva il dettaglio nelle alte luci senza problema. È fantastico.
Nella pratica, trovo che ci siano cose quasi impossibili da ottenere sulla pellicola, se uno si é abituato all’iperrealismo di un buon sensore digitale. Però ci sono atmosfere che sono quasi impossibili da ricondurre alla freddezza del sensore, dove la pellicola é imbattibile. Ho visto che ora esistono molti “profili” per imitare l’effetto della pellicola (di certe, determinate pellicole), tanto quella in bianco e nero come quelle a colori, probabilmente perché l’esigenza di quell’effetto é in qualche modo sentita da molti. Da quel che ho potuto osservare, però, é una imitazione molto caricaturale.
L’immagine della pellicola continua ad essere più argentea, e per certe applicazioni ha la sua particolarità, che apprezzo. Vi allego qui di seguito le due immagini su pellicola già lavorate, toned in un seppia caldo e leggermente bruciate sui bordi.
Vi sono piccoli progetti fotografici nei quali trovo che la pellicola rappresenti il supporto più adeguato alla mia visione. Vi allego qui alcune foto dalle serie "Casa onirica" e "Inequilibri", tutte ripresa su pellicola di medio formato.
So che posso ottenere un effetto analogo usando il sensore digitale, ma mi richiede una grande quantitá di lavoro in post-produzione e, alla fine, il risultato non é ugualmente magico.