+1valhalla ha scritto: ↑venerdì 4 febbraio 2022, 19:43sono pienamente d'accordo, se si stesse cercando una soluzione si dovrebbero considerare tutti quei fattori.
quello che io temo è che non si stia cercando una soluzione, ma solo un modo veloce per rispettare le normative man mano che vengono rese più restrittive, ma senza cambiare veramente il modo in cui si fanno le cose.
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rolex hunter ha scritto: ↑venerdì 4 febbraio 2022, 14:02 Siamo stilofili, e anche di un certo livello, suvvia.....![]()
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Il PLA non va bene per farci le cartucce, dopo un anno sarebbero mezze vuote.
Anche se andare contro la plastica è facile e tutti noi facciamo il gesto di buttare la cartuccia, una valutazione di impatto ambientale seria si fa con uno studio LCA dalla culla alla tomba, e non è detto che non riservi sorprese. Vi consiglio la lettura del libro di Chriss de Armitt sui paradossi della plastica (c'è anche in italiano, scaricabile gratis) e di "Confessions of a Greenpeace dropout" per vedere come sia il mondo dell'ambientalismo visto da uno scienziato che e stato appunto cacciato perché affrontava le questioni ambientali dal punto di vista della scienza.
La realtà è che non esistono soluzioni semplici a problemi complessi.
Anche se andare contro la plastica è facile e tutti noi facciamo il gesto di buttare la cartuccia, una valutazione di impatto ambientale seria si fa con uno studio LCA dalla culla alla tomba, e non è detto che non riservi sorprese. Vi consiglio la lettura del libro di Chriss de Armitt sui paradossi della plastica (c'è anche in italiano, scaricabile gratis) e di "Confessions of a Greenpeace dropout" per vedere come sia il mondo dell'ambientalismo visto da uno scienziato che e stato appunto cacciato perché affrontava le questioni ambientali dal punto di vista della scienza.
La realtà è che non esistono soluzioni semplici a problemi complessi.
E' scientificamente provato. Acquistare penne stilografiche e scrivere con la penna stilografica sono due hobbies distinti.
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Una soluzione io la offro, di carattere economico.
Basterebbe internalizzare il costo dello smaltimento nel prezzo del bene. Il rifiuto è infatti una esternalità di cui non paghiamo il prezzo se non indirettamente senza associarlo al bene. Oggi Il produttore non ha alcun incentivo a progettare i propri bene per il riciclo, se non quello di renderli più appetibili ai consumatori virtuosi, una leva di scarsa efficacia.
Se si costringesse i produttori a pagare una tassa di smaltimento calcolata sul ritiro e smaltimento nonché sulle caratteristiche intrinseche del bene e quindi la sua durabilità e riciclabilità permettendo allo stesso di ottenere un rimborso nel caso lui stesso ritiri e smaltisca il rifiuto, i prezzi dei beni aumenterebbero incorporando il costo del rifiuto.
i consumatori prediligerebbero i beni più virtuosi (con prezzi più bassi per effetto della misura dell’imposta che favorirebbe beni duraturi o ricliclabili), la concorrenza porterebbe i produttori a cercare soluzioni dal minor costo di smaltimento. Con bene intendo anche l’imballaggio. Lo stato incasserebbe risorse che dovrebbero essere usate obbligatoriamente al ricliclo e smaltimento.
Naturalmente in paesi come l’Italia dove la corruzione della macchina pubblica è importante, tale sistema avrebbe in efficacia proporzionalmente ridotta.
Basterebbe internalizzare il costo dello smaltimento nel prezzo del bene. Il rifiuto è infatti una esternalità di cui non paghiamo il prezzo se non indirettamente senza associarlo al bene. Oggi Il produttore non ha alcun incentivo a progettare i propri bene per il riciclo, se non quello di renderli più appetibili ai consumatori virtuosi, una leva di scarsa efficacia.
Se si costringesse i produttori a pagare una tassa di smaltimento calcolata sul ritiro e smaltimento nonché sulle caratteristiche intrinseche del bene e quindi la sua durabilità e riciclabilità permettendo allo stesso di ottenere un rimborso nel caso lui stesso ritiri e smaltisca il rifiuto, i prezzi dei beni aumenterebbero incorporando il costo del rifiuto.
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E già così. Dal 1996.riktik ha scritto: ↑domenica 6 febbraio 2022, 13:00 Una soluzione io la offro, di carattere economico.
Basterebbe internalizzare il costo dello smaltimento nel prezzo del bene. Il rifiuto è infatti una esternalità di cui non paghiamo il prezzo se non indirettamente senza associarlo al bene. Oggi Il produttore non ha alcun incentivo a progettare i propri bene per il riciclo, se non quello di renderli più appetibili ai consumatori virtuosi, una leva di scarsa efficacia.
Se si costringesse i produttori a pagare una tassa di smaltimento calcolata sul ritiro e smaltimento nonché sulle caratteristiche intrinseche del bene e quindi la sua durabilità e riciclabilità permettendo allo stesso di ottenere un rimborso nel caso lui stesso ritiri e smaltisca il rifiuto, i prezzi dei beni aumenterebbero incorporando il costo del rifiuto.
i consumatori prediligerebbero i beni più virtuosi (con prezzi più bassi per effetto della misura dell’imposta che favorirebbe beni duraturi o ricliclabili), la concorrenza porterebbe i produttori a cercare soluzioni dal minor costo di smaltimento. Con bene intendo anche l’imballaggio. Lo stato incasserebbe risorse che dovrebbero essere usate obbligatoriamente al ricliclo e smaltimento.
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Conosci come funziona il sistema o la tua è una percezione di non funzionamento? Sai quanto pagano oggi questi imballaggi per la gestione del loro fine vita?
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È una domanda per fare polemica o vuoi che approfondisca la materia dandoti numeri dettagli e approcci (imho sbagliati) avuti finora?! Possiamo anche approfondire l’inutilita della plastic tax così come proposta oggi e de all’assoluta incoerenza della tassonomia e dell’approccio semplicistico al calcolo della tassa. Ma forse dovremmo spostarci su chiacchiere in libertà…
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No, nessuna polemica, semplice curiosità, dal momento che il fine vita dei materiali e della plastica in particolare è il settore in cui lavoro.riktik ha scritto: ↑domenica 6 febbraio 2022, 19:40È una domanda per fare polemica o vuoi che approfondisca la materia dandoti numeri dettagli e approcci (imho sbagliati) avuti finora?! Possiamo anche approfondire l’inutilita della plastic tax così come proposta oggi e de all’assoluta incoerenza della tassonomia e dell’approccio semplicistico al calcolo della tassa. Ma forse dovremmo spostarci su chiacchiere in libertà…
E' sempre interessante avere l'opinione di chi si presenta da fuori con la soluzione definitiva per risolvere i problemi ambientali.
Magari c'è qualcosa che proponi, ovviamente supportato da studi scientifici, che posso mettere sul tavolo in una discussione in ambito europeo.
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"da fuori"... l'allocuzione dice molto e mi fermo qui.Phormula ha scritto: ↑lunedì 7 febbraio 2022, 9:27 E' sempre interessante avere l'opinione di chi si presenta da fuori con la soluzione definitiva per risolvere i problemi ambientali.
Magari c'è qualcosa che proponi, ovviamente supportato da studi scientifici, che posso mettere sul tavolo in una discussione in ambito europeo.
Comunque:
Mai pensato o sostenuto di avere soluzioni definitive (ne esistono a qualsiasi problema?), e ci sarebbe anche molto da discutere su cosa intendiamo sull'approccio che vogliamo avere ai "problemi ambientali" ovvero all'antropizzazione dell'ambiente, all'inquinamento, ed alla preservazione di ecosistemi di per se in continuo mutamento.
Senza però fare filosofia, parlavi di soluzioni ed io ho suggerito la possibilità di intraprendere con maggior convinzione un approccio economico e non solo di carattere tecnologico, un approccio pratico non volto all'eliminazione, alla sostituzione od al divieto dell'uso di alcuni materiali, ma alla loro corretta valutazione economica tenendo conto di TUTTE quelle esternalità negative che impattano sul benessere pubblico, che le aziende ignorano perché il mercato e le regole glielo consentono. L'uso di materiali di breve durata, non riciclabili facilmente (o solo di nome), che si trasformano in rifiuti da smaltire, è diffuso semplicemente perché economico e conveniente. E non dovrebbe esserlo, o non nella misura in cui lo è da molto tempo a questa parte. E' una soluzione definitiva? no, mai sostenuto ne spero lasciato intendere. E' una soluzione efficacie a limitare il problema ed a ricercare nuovi approcci tecnologici? Ritengo di si, se ben attuata, ho diversi studi e modelli economici con dati che ne dimostrano la validità (ma non nel mercato della plastica su cui andrebbero provati). E' una soluzione concettualmente semplice? Si, molto. E' una soluzione realizzabile? Spesso no, a quanto rispose la gentile e schietta Loyola de Palacio (pace all'anima sua) responsabile ai Trasporti per la Commissione Europea nel 2001 per la quale partecipai alla realizzazione di studi economici applicabili al suo settore di competenza: no, con l'assetto politico in essere e la struttura europea creata dai trattati in vigore non vi era possibilità di trovare le condizioni politiche e di consenso per portare avanti misure di questo tipo, nonostante i diversi volumi di dati e solidi modelli di applicazione presentatigli. E quindi si andò avanti con divieti ed obblighi. Ed in venti anni non molto è cambiato.
Talvolta soluzioni semplici esistono, semplicemente non ci mettiamo d'accordo per attuarle a causa di interessi confliggenti. Anzi talvolta scegliamo soluzioni incomplete, palesemente difettose e perfino dannose solo perché trovano maggior consenso o supporto.
Per fare un esempio tornando alle nostre penne, quando vedo una penna in plastica usa e getta venduta a 15 centesimi io inorridisco, ma sono certo che molti altri sono contenti di pagarla quel misero prezzo.
Spero non aver tediato i lettori.
Marco
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Ragionamento corretto, se altrettanto correttamente applicato.
Il che potrebbe riservare sorprese.
Probabilmente nel campo degli inchiostri, i contenitori con il minore impatto ambientale, misurato sul loro ciclo di vita, sono i flaconi Pelikan da litro, quelli Octopus da 250 ml e quelli di Royal Blue di alcune marche da 300 ml. Racchiudono in pochi grammi di plastica quantità significative di inchiostro, mentre i calamai di vetro non vanno oltre i 50-60 ml e alcuni hanno costi e impatti di produzione significativi per via del loro design elaborato. Sulle cartucce non mi esprimo, bisognerebbe fare una valutazione di impatto sull'intero ciclo di vita, contando anche i trasporti.
Il ragionamento sulla penna usa e getta da 15 centesimi è vero, però se applicassimo lo stesso ragionamento alla nostra situazione, la maggior parte di noi qui dentro possiede molte più penne di quelle strettamente necessarie (alcuni le collezionano addirittura senza inchiostrarle), quantunque siano ricaricabili e non usa e getta. Magari i loro eredi le butteranno senza che siano mai state usate. Da un punto di vista ambientale, un appassionato che possiede un centinaio di stilografiche e le usa a rotazione non è molto diverso da una persona che compra una biro usa e getta l'anno per tutta la sua vita (quindi un centinaio di biro). Il fatto che una penna sia durevole e ricaricabile non depone a suo favore se non viene usata o se viene acquistata in aggiunta ad un'altra penna. Se poi ha il pennino d'oro, metallo che per la sua estrazione consuma un sacco di risorse...
Anni fa avevo un collega così, nel portapenne sulla scrivania aveva una penna biro blu, che appunto lui chiamava "LA" penna. La usava fino ad esaurimento, il che nella normale vita di ufficio voleva dire sei mesi - un anno, e poi se ne faceva dare un'altra dalla segretaria. Minimalismo assoluto, un barattolo con una penna, una matita, un righello ed una gomma. Forse, se volessimo essere ambientalisti fino in fondo, oltre a rinunciare alle cartucce dovremmo avere una sola penna stilografica, che carichiamo ed usiamo con il Pelikan 4001, ovviamente comprato nel flacone da litro.
Il che potrebbe riservare sorprese.
Probabilmente nel campo degli inchiostri, i contenitori con il minore impatto ambientale, misurato sul loro ciclo di vita, sono i flaconi Pelikan da litro, quelli Octopus da 250 ml e quelli di Royal Blue di alcune marche da 300 ml. Racchiudono in pochi grammi di plastica quantità significative di inchiostro, mentre i calamai di vetro non vanno oltre i 50-60 ml e alcuni hanno costi e impatti di produzione significativi per via del loro design elaborato. Sulle cartucce non mi esprimo, bisognerebbe fare una valutazione di impatto sull'intero ciclo di vita, contando anche i trasporti.
Il ragionamento sulla penna usa e getta da 15 centesimi è vero, però se applicassimo lo stesso ragionamento alla nostra situazione, la maggior parte di noi qui dentro possiede molte più penne di quelle strettamente necessarie (alcuni le collezionano addirittura senza inchiostrarle), quantunque siano ricaricabili e non usa e getta. Magari i loro eredi le butteranno senza che siano mai state usate. Da un punto di vista ambientale, un appassionato che possiede un centinaio di stilografiche e le usa a rotazione non è molto diverso da una persona che compra una biro usa e getta l'anno per tutta la sua vita (quindi un centinaio di biro). Il fatto che una penna sia durevole e ricaricabile non depone a suo favore se non viene usata o se viene acquistata in aggiunta ad un'altra penna. Se poi ha il pennino d'oro, metallo che per la sua estrazione consuma un sacco di risorse...
Anni fa avevo un collega così, nel portapenne sulla scrivania aveva una penna biro blu, che appunto lui chiamava "LA" penna. La usava fino ad esaurimento, il che nella normale vita di ufficio voleva dire sei mesi - un anno, e poi se ne faceva dare un'altra dalla segretaria. Minimalismo assoluto, un barattolo con una penna, una matita, un righello ed una gomma. Forse, se volessimo essere ambientalisti fino in fondo, oltre a rinunciare alle cartucce dovremmo avere una sola penna stilografica, che carichiamo ed usiamo con il Pelikan 4001, ovviamente comprato nel flacone da litro.
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La discussione si stà facendo veramente interessante e approfondita . Spero,da profano in materia, che continui.
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Il motivo è proprio il fatto che quelle più economiche sono prodotte con plastica riciclata, che è meno elastica di quella vergine.Mi chiedo come si farà soprattutto con le cartucce d'inchiostro stilografico che, negli anni, sempre per motivi ecologici, venivano da tempo già prodotte con plastica molto fragile, tanto che la famosa manovra di spremere la cartuccia appena inserita per favorire l'afflusso al pennino era praticamente diventata proibitiva, in quanto era molto facile provocare crepe con perdite d'inchiostro.
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Secondo un articolo pubblicato sul giornale del Sierra Club è difficile dire se una Bic sia più o meno "verde" di una penna a cartucce non ricaricabili.
https://www.sierraclub.org/sierra/ask-m ... iendly-pen
Ma la cosa che trovo più giusta è l'avvertimento che plastica a parte, una penna può essere fatta con metalli provenienti da miniere alto inquinanti e che calpestano i Diritti Umani.
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Venceremos.