Mostra Scambio - Pen Show - di Firenze
17 maggio 2025 - Hotel AC Marriot, via Luciano Bausi, 5
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Milano
- sussak
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Lo so che non è un forum di fotografia, ma per una volta ho lasciato sul tavolo la penna, ed uscendo con il cane ho portato una macchina fotografica.
In mezz'ora ho incontrato tre persone. Oggi il silenzio è totale, non si sentono più nemmeno le ambulanze, perchè l'ospedale è pieno.
Il mio quartere ha 80.000 abitanti. Una cortese richiesta: collaborate, anche dove non avete ancora provato cosa voglia dire. Non è uno scherzo.
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Umberto
Se la democrazia declina è perché la lasciamo declinare. Benedetto Croce
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- Ottorino
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Qui a Firenze tra 28 e 36 dB di rumore in strada. Un paradiso se non fosse per il motivo.
Tornando a Milano: oggi ho sentito su Rai tre una trasmissione su Sant'Ambrogio.
Ancora non è disponibile, ma era molto bella. Voi Milanesi avete senz'altro avuto modo di vederla e potreste apprezzare più di me
Qui una serie di trasmissioni sulla vostra città
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C'è rimedio ? Perché preoccuparsi ? Non c'è rimedio ? Perché preoccuparsi ?
Un bel panorama si vede dopo una bella salita
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- maxpop 55
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Umberto è una tragedia che coinvolge tutta l'Italia e tutte le città sono come Milano... deserte.
Il valore di una stilografica non dipende dal costo, ma dal valore che noi le diamo.
- Automedonte
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Speriamo che tutti continuino a fare i bravi e stare in casa.
In fondo noi siamo dei privilegiati rispetto a quelli che sono costretti a lavorare in condizioni disagevoli e pericolose
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- sussak
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“Siamo in guerra”, si dice. Sarà vero?
La guerra puoi scatenarla, oppure subirla: in ogni caso, hai di fronte una controparte. Con un virus, non puoi firmare un trattato di pace. Puoi solo vincere o perdere. Detto questo, un elemento in comune con la guerra c’è.
Le autorità possono dire alla gente: “Mi dispiace, ma in questo momento i tuoi interessi personali passano in secondo piano. Ora, devi obbedire e sacrificarti in nome di qualcosa di più grande di te”.
Ciò che lo Stato italiano ci sta chiedendo ci appare enorme. Non possiamo più uscire a fare una passeggiata, né andare a cena fuori, e nemmeno raggiungere un amico a casa. Per un popolo che ha vissuto gli ultimi settant’anni della sua vita in pace, è una rinuncia gigantesca. Tuttavia è poco, se paragonato a ciò che lo stato chiese al popolo italiano nel 1915. Quando chiamò tutti i maschi che potevano combattere e disse a ciascuno di loro: “Ora tu lasci la tua casa, tua moglie, i tuoi figli, il tuo lavoro e te ne vai a fare una vita da cane in trincea, dove puoi crepare dilaniato dalle ferite di una bomba, oppure – se ti va bene – farai una vita orrenda per anni. E lo fai. Perché questo è un ordine”.
Il parallelo con la guerra regge fino a un certo punto. Chiederci di rimanere a casa per sopravvivere è diverso dal ricevere l’ordine di andare al macello.
E come mi insegnarono a suo tempo, l'obbedienza deve essere "pronta, cieca ed assoluta".
Lassù a nord ci considerano degli incapaci e degli imbelli, dimostriamo a tutti il contrario.
La guerra puoi scatenarla, oppure subirla: in ogni caso, hai di fronte una controparte. Con un virus, non puoi firmare un trattato di pace. Puoi solo vincere o perdere. Detto questo, un elemento in comune con la guerra c’è.
Le autorità possono dire alla gente: “Mi dispiace, ma in questo momento i tuoi interessi personali passano in secondo piano. Ora, devi obbedire e sacrificarti in nome di qualcosa di più grande di te”.
Ciò che lo Stato italiano ci sta chiedendo ci appare enorme. Non possiamo più uscire a fare una passeggiata, né andare a cena fuori, e nemmeno raggiungere un amico a casa. Per un popolo che ha vissuto gli ultimi settant’anni della sua vita in pace, è una rinuncia gigantesca. Tuttavia è poco, se paragonato a ciò che lo stato chiese al popolo italiano nel 1915. Quando chiamò tutti i maschi che potevano combattere e disse a ciascuno di loro: “Ora tu lasci la tua casa, tua moglie, i tuoi figli, il tuo lavoro e te ne vai a fare una vita da cane in trincea, dove puoi crepare dilaniato dalle ferite di una bomba, oppure – se ti va bene – farai una vita orrenda per anni. E lo fai. Perché questo è un ordine”.
Il parallelo con la guerra regge fino a un certo punto. Chiederci di rimanere a casa per sopravvivere è diverso dal ricevere l’ordine di andare al macello.
E come mi insegnarono a suo tempo, l'obbedienza deve essere "pronta, cieca ed assoluta".
Lassù a nord ci considerano degli incapaci e degli imbelli, dimostriamo a tutti il contrario.
Umberto
Se la democrazia declina è perché la lasciamo declinare. Benedetto Croce
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- JetMcQuack
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Sussak, io avrei voglia di vedere le foto dei quaderni che stai scrivendo...condividi con noi la tua cronaca, sarebbe piacevole!
- Automedonte
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Umberto, perdonami se Ti do del Tu, come non quotare quando hai scritto con maggior chiarezza rispetto a quanto ho solo accennato.sussak ha scritto: ↑domenica 15 marzo 2020, 18:38 “Siamo in guerra”, si dice. Sarà vero?
La guerra puoi scatenarla, oppure subirla: in ogni caso, hai di fronte una controparte. Con un virus, non puoi firmare un trattato di pace. Puoi solo vincere o perdere. Detto questo, un elemento in comune con la guerra c’è.
Le autorità possono dire alla gente: “Mi dispiace, ma in questo momento i tuoi interessi personali passano in secondo piano. Ora, devi obbedire e sacrificarti in nome di qualcosa di più grande di te”.
Ciò che lo Stato italiano ci sta chiedendo ci appare enorme. Non possiamo più uscire a fare una passeggiata, né andare a cena fuori, e nemmeno raggiungere un amico a casa. Per un popolo che ha vissuto gli ultimi settant’anni della sua vita in pace, è una rinuncia gigantesca. Tuttavia è poco, se paragonato a ciò che lo stato chiese al popolo italiano nel 1915. Quando chiamò tutti i maschi che potevano combattere e disse a ciascuno di loro: “Ora tu lasci la tua casa, tua moglie, i tuoi figli, il tuo lavoro e te ne vai a fare una vita da cane in trincea, dove puoi crepare dilaniato dalle ferite di una bomba, oppure – se ti va bene – farai una vita orrenda per anni. E lo fai. Perché questo è un ordine”.
Il parallelo con la guerra regge fino a un certo punto. Chiederci di rimanere a casa per sopravvivere è diverso dal ricevere l’ordine di andare al macello.
E come mi insegnarono a suo tempo, l'obbedienza deve essere "pronta, cieca ed assoluta".
Lassù a nord ci considerano degli incapaci e degli imbelli, dimostriamo a tutti il contrario.
Riguardo all’obbedienza io sono cresciuto al motto di “Usi obbedir tacendo e tacendo morir”
In questo momento mi costa davvero poco restare a poltrire, mangiare ed ingrassare in casa rispetto a chi è dovuto andare a combattere una guerra vera

- sussak
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Il nostro motto era "COUSTA L'ON CA COUSTA.." (costi quel che costa).
battaglione Aosta.
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Umberto
Se la democrazia declina è perché la lasciamo declinare. Benedetto Croce
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- Miata
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Mi accodo...JetMcQuack ha scritto: ↑domenica 15 marzo 2020, 18:39 Sussak, io avrei voglia di vedere le foto dei quaderni che stai scrivendo...condividi con noi la tua cronaca, sarebbe piacevole!

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Facciamoci coraggio, è lunedì.
Per tirar su il morale vi pubblico un anedotto del Corriere di questa mattina:
L’emotività può portare a commettere errori; ma può essere più razionale del cinismo. E può rappresentare anche una fonte inesauribile di energie morali. Alla fine della sua vita, Winston Churchill raccontò a Indro Montanelli di quando, passeggiando con i cronisti tra le macerie di un quartiere di Londra semidistrutto dai bombardamenti nazisti, vide «una botteguccia di barbiere» con un cartello che diceva «business as usual»: «Colpito, mi lanciai in una tirata patriottica sull’orgoglio di condurre un popolo che dava tali prove. Nessuno ebbe il coraggio di dirmi che il proprietario di quel negozio si chiamava Pasquale Esposito».
Per tirar su il morale vi pubblico un anedotto del Corriere di questa mattina:
L’emotività può portare a commettere errori; ma può essere più razionale del cinismo. E può rappresentare anche una fonte inesauribile di energie morali. Alla fine della sua vita, Winston Churchill raccontò a Indro Montanelli di quando, passeggiando con i cronisti tra le macerie di un quartiere di Londra semidistrutto dai bombardamenti nazisti, vide «una botteguccia di barbiere» con un cartello che diceva «business as usual»: «Colpito, mi lanciai in una tirata patriottica sull’orgoglio di condurre un popolo che dava tali prove. Nessuno ebbe il coraggio di dirmi che il proprietario di quel negozio si chiamava Pasquale Esposito».
Umberto
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Bellissima! 

Enrica
"Non essere mai codardo o crudele. Cerca di essere sempre gentile, ma non smettere mai di essere buono." Doctor Who
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- Levetta
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S T U P E N D A ! ! !sussak ha scritto: ↑lunedì 16 marzo 2020, 7:05 Facciamoci coraggio, è lunedì.
Per tirar su il morale vi pubblico un anedotto del Corriere di questa mattina:
L’emotività può portare a commettere errori; ma può essere più razionale del cinismo. E può rappresentare anche una fonte inesauribile di energie morali. Alla fine della sua vita, Winston Churchill raccontò a Indro Montanelli di quando, passeggiando con i cronisti tra le macerie di un quartiere di Londra semidistrutto dai bombardamenti nazisti, vide «una botteguccia di barbiere» con un cartello che diceva «business as usual»: «Colpito, mi lanciai in una tirata patriottica sull’orgoglio di condurre un popolo che dava tali prove. Nessuno ebbe il coraggio di dirmi che il proprietario di quel negozio si chiamava Pasquale Esposito».
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sussak ha scritto: ↑lunedì 16 marzo 2020, 7:05 Facciamoci coraggio, è lunedì.
Per tirar su il morale vi pubblico un anedotto del Corriere di questa mattina:
L’emotività può portare a commettere errori; ma può essere più razionale del cinismo. E può rappresentare anche una fonte inesauribile di energie morali. Alla fine della sua vita, Winston Churchill raccontò a Indro Montanelli di quando, passeggiando con i cronisti tra le macerie di un quartiere di Londra semidistrutto dai bombardamenti nazisti, vide «una botteguccia di barbiere» con un cartello che diceva «business as usual»: «Colpito, mi lanciai in una tirata patriottica sull’orgoglio di condurre un popolo che dava tali prove. Nessuno ebbe il coraggio di dirmi che il proprietario di quel negozio si chiamava Pasquale Esposito».





Mauro