Rodelinda ha scritto: ↑lunedì 18 giugno 2018, 17:31
In una pausa dallo studio matto & disperatissimo per il Concorso, e terrorizzata dall'ECG sotto sforzo che mi attende domattina, mi soffermo a rispondere a quest'annosa domanda.
Io sono un'appassionata di ritorno, per così dire: il mio esordio nel mondo delle stilografiche è stato
tutto, meno che piacevole (la storia, contorta quanto traumatizzante, l'ho già raccontata qui: [url]
http://forum.fountainpen.it/viewtopic.p ... 198244/url])... ma il ritorno alla stilo è caratterizzato da un ulteriore minidramma scolastico.
In sostanza, è
colpa di Karl Marx se io ora scrivo con la stilo.
In breve: ho avuto la
s-fortuna di frequentare il liceo della mia città, quasi solo ad utenza femminile e gestito da un manipolo di suore naziste. Una delle insegnanti laiche, quella di filosofia, aveva un'abitudine discutibile - frutto, credo, del fatto che lei stessa odiava la materia che insegnava, o detestava l'idea di
non poter fare (per questioni di
tempo e spazio) gli autori
minori cristian-cattolic-sfasciagonadi che tanto amava; era infatti costretta, dai programmi ministeriali (secondo lei, evidentemente elaborati da una camarilla social-stalinista nascosta, figlia della perniciosa influenza di Berlinguer, nonostante all'inizio della mia carriera liceale fossero ormai passati almeno quindici anni dal suicidio del PCI perpetrato da Occhetto), a cedere spazio a miscredenti apostati senza Dio come Voltaire, Rousseau, Feuerbach, Schopenhauer, Nietzsche, e ovviamente il Nostro Caro Karl (& Engels, il quale tra parentesi si accollò e diede il proprio nome alla figlia illegittima che Karl ebbe dalla governante, meritandosi a pieni voti il titolo di "
Miglior Spalla della Storia", e non solo per i meriti rivoluzionari).
Nel tentativo di dedicare il minor spazio didattico possibile a questi loschi figuri, a un certo punto in Quinta liceo
smise di fare spiegazioni, dedicando quasi integralmente il proprio tempo a interrogazioni e verifiche: queste ultime erano a cadenza quasi quotidiana, e consistevano in lunghissimi temi da sviluppare a partire da una domanda, nello spazio obbligatorio di massimo quattro facciate.
Il problema, capirete anche voi, era che:
1) IL materiale per queste benedette verifiche dovevamo studiarcelo da noi: e non tutti in classe erano versati nella comprensione delle seghe mentali (quando non proprio degenerate in emorroidi, come nel caso del Nietzsche più tardo) di un'orda di tizi i cui sproloqui in massima parte ci sembravano assurdi (eravamo una classe di gente piuttosto terra-terra, per usare un gentile eufemismo);
2) Le domande sulla base delle quali dovevamo sviluppare questo accidenti di tema non erano cose che fosse possibile far stare nello spazio obbligatorio massimo di quattro facciate. Si trattava di quesiti generalissimi, in alcuni casi così ampi da causare il caos (tipo: "Spiegazione del concetto di estetica secondo Aristotele": e 'sticazzi?) oppure di una minuziosità così speciosa da farne sfuggire il senso logico (ad esempio: "Emergenze patristiche all'esito del Concilio Ecumenico Vaticano dopo l'emanazione del Dogma dell'Infallibilità Papale").
3) Non ci era consentito studiare dal libro di testo da lei stessa adottato, il fantomatico manuale di Reale, perché lei non era d'accordo con lui su alcuni punti fondamentali (mai chiarito quali fossero): sospettavamo che a suo giudizio questo Reale, chiunque egli fosse, fosse troppo di sinistra, benché a nostro giudizio più a destra di lui ci fossero solo...
...4) i
Gesuiti. Lei avrebbe infatti voluto farci studiare da un odioso, orrendo manuale di filosofia e teologia in più volumi pubblicato dai Gesuiti, del modico costo di circa cento euro a pezzo (per dieci volumi totali), rilegato in nero con le coste rosse (pareva il diario dei peccati di Alice Cooper), ma non aveva potuto perché non era compreso nell'elenco - pur amplissimo - dei testi ammessi dal Ministero.
Eravamo quindi costretti ad arrangiarci con le sole nostre sparute forze di fronte a questo atteggiamento elastico quanto il muro di Berlino e affabile come la Stasi.
Nel tentativo, specie in Quinta, di evitare l'ecatombe da tredici-diconsi-tredici esami di riparazione che aveva colpito una classe di ventidue persone tra la Quarta e la Quinta, ci facemmo furbi e raccolti i soldi, iniziammo a farci dare (anche pagando a prezzi da strozzini) da conoscenti, amici e fratelli le tracce dei temi già assegnati negli anni precedenti (visto che tra le tante paranoie della nostra prof
non rientrava quella di inventarsi delle tracce nuove: erano sempre le stesse).
A quel punto, a seconda di chi era più bravo con un determinato autore - la mia compagna di classe più sciroccata e drogata era un asso con Nietzsche, ad esempio - tutta la classe si trovava in casa di qualcuno (in genere il garage di mia nonna). Il più bravo elaborava il tema, lo scriveva per verificare che ci stesse in quattro facciate, lo si fotocopiava e lo si imparava a memoria (a riprova di quanto fosse fuori di testa la mia prof: non si accorse mai che ventidue persone le presentavano ventidue temi in pratica identici).
Ora: forse perché sono una persona dotata di una certa logica, versata negli affari (!) e con un talento per le minuzie giuridiche, nonché all'epoca mediamente impegnata politicamente, a un certo punto mi toccò quello che, tra tutti gli autori, la nostra prof più odiava, ma che per ovvi motivi non poteva saltare: sto parlando, ovviamente, di Karl Marx. Non per altro: è che se per gli altri autori in molti casi potevi cavartela con qualche supercazzola, con lui non si poteva usare questo
escamotage, dal momento che la sua teoria filosofica altro non è che una
sovrastruttura ( battutona squallida!) elaborata a partire da una dottrina economica che - per quanto si possa non essere d'accordo con lui - ha una sua logica stringente.
I temi che lo riguardavano furono tre. I titoli: "Il Manifesto del Partito Comunista", "Il Capitale", "I delitti del marxismo-leninismo" (LO GIURO: non era una cosa tipo: "problemi applicativi", no, era proprio "
Denuncia i delitti del marxismo-leninismo in tutto il mondo, e se ci sono stati dei risultati positivi ca**i tuoi: io posso cianciare per ore del fatto che LVI ha fatto anche cose buone, ma gli esiti del comunismo sono solo cacca". Non potevi nemmeno parlare, chessò, di Gagarin e della MIR).
Ora, non so se voi abbiate anche solo mai pensato di leggere "Il Capitale", ma posso dirvi che è un'impresa sovrumana affrontarlo, comprenderne i contenuti, e soprattutto riassumerlo in quattro facciate (sono l'unica persona che io conosca che abbia portato a termine i primi due obiettivi, e posso dirvi una cosa: FUSARO NON C'E' RIUSCITO).
Lo ricopiai
quattordici volte, in quattordici versioni diverse, sempre cercando di togliere qualcosa senza far perdere senso al discorso generale prima di ottenere un risultato accettabile, con tutta la classe che mi alitava sul collo facendo un tifo che non avevo mai visto neanche ai Mondiali. Il mio compagno di classe primo in matematica promise che mi avrebbe fatto copiare tutti i compiti di algebra da lì alla fine dell'anno se ci fossi riuscita (bello sforzo, visto che eravamo a metà maggio).
Alla fine ce la feci, affrontammo la verifica e la superammo. Il nove meno meno più sudato della mia vita. Pagato con un attacco di sindrome del tunnel carpale.
Dopo una visita ortopedica abbastanza concitata, mi fu consigliato di scrivere il meno possibile (con la Maturità alle porte!) e che se proprio dovevo farlo, di cercare di non calcare e di non sforzare la mano.
Fu allora che, illuminata come da un raggio divino, mio padre con mille e uno raccomandazioni mi consegnò la mia amatissima Aurora Hastil, appartenuta al mio supernonno, sfortunatamente nel frattempo passato a miglior vita.
E questa è la mia triste stilostoria: Karl Marx mi ha gettato tra le braccia di questo settore di mercato del lusso. Sarà per un inconscio senso di colpa, che cerco di comprare un mucchio di inchiostri prodotti nei Paesi dell'ex blocco Orientale?
Ai posteri...